Razzismo, dalla cacca contro Kyenge a Soumahoro: come si schianta la sinistra
La lotta al razzismo non porta bene alla sinistra. Perché troppo spesso finisce per rimediare delle clamorose brutte figure. Si scopre cioè che i buoni non sono poi così tanto buoni e i cattivi non sono quelli indicati dai compagni con la consueta bava alla bocca. Il caso di questi giorni, si sa, è quello di Aboubakar Soumahoro, neoeletto deputato e astro nascente dei progressisti tutti casa e diritti. Sembrava, Aboubakar, la persona perfetta per rappresentare la nuova sinistra: origini ivoriane, laurea in sociologia con tesi sulla "condizione dei lavoratori migranti nel mercato del lavoro italiano", un passato da sindacalista dei braccianti. A metà ottobre si è presentato per la prima volta in parlamento esibendo il pugno chiuso e indossando degli stivali di gomma sporchi di fango, poi ha iniziato ad attaccare il centrodestra sugli sbarchi. Stava nascendo una specie di leader, di punto di riferimento. Poi, però, è arrivata l'indagine della procura di Latina sulle cooperative gestite da sua moglie e dalla suocera. Le accuse: minori migranti maltrattati e pagamenti irregolari. Lui, Soumahoro, ha subito detto di non c'entrare nulla e ha minacciato querele. Ma a livello di immagine è un colpo che non ci voleva...
Video su questo argomento"Suocere fonti di guai". Soumahoro, Senaldi difende il deputato: "Anche se..."
NAZISTI AL PIGNETO
Un caso, questo, che richiama quello dell'ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. Con lui alla guida del Municipio (è stato eletto per tre volte), il piccolo comune calabrese era diventato un simbolo di integrazione e di immigrazione sostenibile, per la gioia della sinistra, che aveva fatto di Lucano un misto tra un santo, un eroe e un navigatore. Poi, però, sono arrivati i giudici. E una condanna in primo grado a 13 anni e 2 mesi di reclusione per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso, abuso d'ufficio e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Insomma, il "modello Riace" per alcuni poteva anche essere affascinante, ma per i giudici andava contro la legge. In appello la richiesta di condanna è scesa a 10 anni e 5 mesi, per l'ex sindaco non proprio una buona notizia...
Non c'entrano i magistrati, ma un altro caso interessante riguarda l'ex ministro dem Cecile Kyenge. Era l'aprile del 2018 quando i muri della sua abitazione vennero imbrattati con escrementi. E subito, naturalmente, si gridò al razzismo. «L'ex ministro», spiegava Democratica, sito di informazione del Pd, «non è nuova a provocazioni, insulti e aggressioni verbali di una certa Italietta che non accetta chi ritiene diverso». E Gianni Pittella, all'epoca parlamentare, salì in cattedra: «Faccio un appello al senso di responsabilità di tutte le forze politiche perché si impegnino a fermare la diffusione di razzismo, odio e intolleranza». Giustissimo. Ma poi venne fuori che il razzismo non c'entrava nulla e che il responsabile del lancio delle feci era un vicino di casa, stufo del fatto che, secondo lui, i Kyenge non raccogliessero mai le cacche del loro cane. Ops.
E i nazisti del Pigneto? Chi se li ricorda? Era il maggio del 2008 quando a Roma, al Pigneto appunto, vennero assaltati dei negozi gestiti da commercianti indiani e bengalesi. Subito scattò l'inevitabile allarme razzismo. E una testimone giurò addirittura di aver visto una svastica. Venne pure organizzata una manifestazione con cartelli di questo tenore: «Chi caccia gli stranieri è sempre fascista». Ma poi... ma poi, dopo alcuni giorni, un uomo confessò di essere il responsabile del raid. Un estremista di destra? Assolutamente no. Anzi, si trattava di un compagno, con tanto di inequivocabile tatuaggio di Che Guevara. Ma quale nazista, spiegava, «io sono nato il primo maggio, il giorno della festa dei lavoratori, e al nonno di mia moglie, nel Ventennio, i fascisti fecero chiudere la panetteria perché non aveva preso la tessera». E allora, se il razzismo non c'entrava nulla, perché quell'assalto?
Più banalmente si sarebbe trattato di una storia di piccoli furti nel quartiere...
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TORNIAMO UMANI
Un ultimo caso, quello di Daisy Osakue, atleta italiana nata nel 1996 a Torino da genitori nigeriani. Il 29 luglio 2018 la ragazza venne colpita all'occhio con un uovo lanciato da un'auto in corsa. Tra le tante reazioni, il giorno dopo, spiccava quella di Matteo Renzi, naturalmente tramite twitter: «Daisy è una campionessa italiana. Ieri è stata selvaggiamente picchiata da schifosi razzisti. Gli attacchi contro persone di diverso colore della pelle sono un'emergenza. Ormai è un'evidenza, che nessuno può negare, specie se siede al governo. Italia, #torniamoumani». E l'allora segretario del Pd, Maurizio Martina: «Questa spirale razzista è spesso alimentata da dichiarazioni e posizioni politiche. Chi nega questa spirale se ne rende complice». Com' è finita? Bé, è finita che gli aggressori sono stati trovati. Erano tre diciannovenni del posto, e tra loro c'era il figlio di un consigliere del Pd al comune di Vinovo, già candidato sindaco. Daisy Osakue, per fortuna, è poi diventata nota solo per i suoi ottimi risultati nel lancio del disco (tra cui, più volte, il titolo italiano). Mentre la sinistra, da allora, ha continuato a collezionare autogol nella lotta alla xenofobia...