Giorgia Meloni al G20? Quelli che tifano contro per pura invidia
Nessuno è profeta in patria. L'antico detto qui da noi ha trovato una declinazione più politicamente marcata: se sei di destra e vuoi governare, qualunque cosa tu faccia, la sinistra ti tira le pietre, anche a costo di danneggiare il Paese. Quello del Pd e dei suoi intellettuali di riferimento è un patriottismo di bottega, pronto a svendere la nazione - e non solo ai francesi - in cambio di un pretesto per dare un calcio all'avversario politico. Alla faccia di chi fino a ieri sosteneva che l'Italia delle destre fosse isolata nel mondo, è capitato che Giorgia Meloni, nel suo primo grande viaggio internazionale in qualità di premier, al G20 di Bali, abbia avuto la fila alla porta di leader che la volevano incontrare riservatamente, al punto da non poter soddisfare tutte le richieste.
Orgoglio femminile, in giacca rosa, unica donna del consesso, la premier è pure riuscita a costringere il dittatore turco Erdogan, quello che per questioni di genere aveva lasciato senza poltrona la presidente della Ue, Ursula von der Leyen, a tenderle la mano e trattarla con il dovuto rispetto. Dalla sinistra nostrana però nessun applauso. Solo offese personali perché si è portata al vertice la figlia Ginevra, facendola anche viaggiare in prima classe, in sfregio ai bimbi degli immigrati clandestini. Cattiva mamma e cattivo capo di governo: l'odio per Giorgia consente a femministe e intellettuali rossi di raggiungere le vette massime del maschilismo. Ma questi, palesi e goffi, sono gli attacchi più inoffensivi, squalificano chili porta e, come si è visto, il premier è in grado di respingerli ai mittenti, ridicolizzandoli pure.
Le critiche più insidiose sono altre. Così se, in barba ad analisti e gufi dem, va bene l'incontro con il presidente Usa, Joe Biden, Giorgia Meloni viene sospettata dalla sinistra di tramare con la Polonia per consolidare con Washington un asse destrorso che scavalchi la Ue; naturalmente con la perfida Ungheria, anche se chi teorizza questo antieuropeismo atlantista è lo stesso che accusa Orbàn di essere putinista. Allo stesso modo, se i governi di Malta, Grecia e Cipro si schierano con l'Italia sulla questione immigrati, la sinistra scuote il capo e rimprovera al governo di avere compagni di lotta troppo sfigati, con i quali non può permettersi di far arrabbiare Berlino e Parigi, anche se loro hanno torto e noi ragione. Strano il concetto della Ue che hanno in casa dem, non una democrazia dove ogni Stato ha un voto, ma una finta alleanza dove l'unica possibilità è seguire la legge del più forte, anche se ti dà mazzate sulla testa. Se Atene per una volta si schiera con noi, per i progressisti diventa equiparabile a Mosca, qualcosa di tossico da cui è bene prendere le distanze.
La sinistra nostrana reagisce agli eventi mischiando la cattiva fede che è da anni la sua cifra con l'arroganza del perdente che non si rassegna e lo choc da sconfitta per una volta senza appello né mezzucci di salvataggio. Non a caso la Meloni ieri ha infilato il dito nella piaga, spiegando in conferenza stampa che «tutti vogliono parlare con l'Italia perché per una volta ha un presidente del Consiglio non di passaggio». Tranquilli, non c'è nessun progetto di lega mediterranea a capo della quale sfidare l'asse franco-tedesco, ed essere leader dei conservatori europei per la Meloni non significa avere come obiettivo fare a pezzi la Ue. Più semplicemente, da decenni l'Italia vive a Bruxelles una situazione di scarsa tutela del proprio interesse nazionale perché il Pd non ha mai sentito come propria la missione di rappresentarlo, preferendo barattarlo in cambio di una legittimazione internazionale fatta pagare ai cittadini. Il nuovo governo vuole pesare di più in Europa e per farlo cerca alleati.
Tutti, anche nel fronte progressista, sostengono che l'Unione di fatto non esista più, o forse non sia mai esistita, perché debole, ininfluente, spaccata ed egoista e chiedono un cambiamento radicale. Se però il tentativo di rinnovare arriva da destra, e dall'Italia, la nostra sinistra diventa il più fiero e arcigno difensore dell'asse franco-tedesco che ha portato la Ue sul baratro. L'impressione è che sia più per rabbia e frustrazione che per reale preoccupazione.