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Mattia Santori, addio: ecco come va conciato in giro

Claudia Osmetti
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Sardine in scatola. Assieme al Pd. O forse no perché questo, almeno, è quanto vorrebbe il suo fondatore, Mattia Santori, ma la base, ecco, la base è un acquario che sfugge. Che fine hanno fatto, le Sardine? Eran 6mila, giovani e forti, ne son rimasti in pochi. Una è lui, Santori: che della sardina, però, pare non abbia più neanche le squame. Ha cambiato stagno, si è iscritto alla costituente del Pd (cioè al congresso, non al partito: lo precisa subito) e vorrebbe che il banco lo seguisse. «Dicevamo una cosa», racconta in un'intervista all'edizione bolognese di Repubblica, qualche giorno fa, «se fai cittadinanza attiva, stai già facendo politica. Che ci crediate o no, c'è un partito che si apre. O partecipi o non puoi lamentarti». 

Ha partecipato, Santori: si è fatto eleggere da indipendente, ma nelle file del Pd, al Consiglio comunale di Bologna, in stretto supporto al sindaco dem Matteo Lepore, ha preso una valanga di preferenze (2.500) e adesso risponde alla chiamata del segretario Enrico Letta: «Ho aderito», spiega, «però è l'ultima chance». Come a dire che gli occhi sono ancora quelli di una volta, puntati fuori dal recinto della "vecchia politica", fissi sulle piazze, ché un conto è organizzare una manifestazione lampo e un altro è tenere alta l'attenzione, magari a distanza di tre anni.

E infatti quello, il movimento, è laconico. Sguscia via. Fa spallucce. «Si tratta di una scelta personale», rispondono i più: e fine del cinema. Santori sì, Santori no: «Siamo sotto il pelo dell'acqua, ma siamo sempre pronte a tornare in piazza», chiarisce Pamela Canfora, per esempio, attivista Sardina e operatrice in un call center, 51enne triestina con le idee chiare, «quello che sappiamo bene oggi è che non siamo ciò che non vogliamo». Un mezzo scioglilingua, una citazione di Montale, ma l'antifona è più che chiara: loro, le Sardine, di ritrovarsi stipate in via del Nazareno non ne hanno voglia per niente. «Si può incidere anche senza ricercare la visibilità», puntualizza Andrea Garreffa, che Santori lo conosce bene perché c'era anche lui, in piazza Maggiore, a Bologna, quel 14 novembre del 2019 quando le Sardine han messo le pinne fuori dal mare per la prima volta. 

Gareffa, insomma, è un altro fondatore del movimento: «La visibilità non sempre aiuta perché fa montare ondate di opinione improvvise e questo rende molto più complicato un percorso di organizzazione interno. Noi siamo nati grandi, in alcuni casi ci sono stati incontri molto belli, in altri abbiamo avuto a che fare con chi voleva solo sfruttare questa notorietà». Domani sono tre annidi attività e l'impressione è che delle Sardine sia rimasto giusto il ricordo. Era nella natura delle cose, dopotutto. Quell'exploit straordinario, all'inizio, a tratti pure inaspettato, che ha travolto le elezioni regionali in Emilia Romagna e ha provato, a puntare più in alto, ma è bruciato come un cerino acceso. Santori ora ammicca al Pd («la più grande comunità politica a livello nazionale, con i pregi e i difetti e conosciamo, ma pur sempre un insieme di persone che costituisce un argine al sovranismo politico»), le altre 5.999 Sardine si riuniscono a Venezia per un evento dal titolo "Diritti violati: lavoro, sostenibilità e accoglienza" (è il loro modo di spegnere le candeline sulla torta). Difficile prenderle, non si fanno catturare manco dalla rete dei dem.

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