Meloni, Giannini e Molinari costruiscono "la fascista di comodo o da ripulire"
Giorgia Ducetta o Giorgia Draghetta... Giorgia Tambroni o Giorgia Berlusconi... in ogni caso "capotrena" immersa in una inquietante "doppiezza", addirittura togliattiana, tutta da snebbiare è ovvio; ma l'impresa è fattibile a patto di seguire le nostre linee di pedagogia resistenziale. E così, dopo i "Comunisti per Tabacci" ora è il momento degli "Antifascisti per Meloni". Ma stavolta non è gioco di società per addetti ai lavori parlamentari. Tutt' altro. È l'ennesimo sfoggio di suprematismo antropologico che l'intellighenzia di sinistra apparecchia intorno al presidente del Consiglio per metterlo in condizioni di minorità culturale e politica.
"Ong? Cosa ha fatto la Germania": il tedesco vuole dare lezioni all'Italia in tv
L'attrice principale di questa retorica, una pratica a metà tra la risoluzione strategica del Cln e un protocollo di servizi sociali, è al momento la Stampa di Torino diretta da Massimo Giannini. Da lui proviene l'ultimo referto democratico nel quotidiano prelievo di sangue destinato alla ricerca di globuli autoritari, l'ultima analisi posta all'attenzione di Palazzo Chigi sotto la forma amletica ricordata qui in apertura.
ESSERE O SEMBRARE?
Meloni, in parole povere, ha di fronte a sé il solito bivio: essere sé stessa - che nell'accezione goscista significa appunto restare un po' troppo fascista o al meglio illiberale e magari travestirsi da tecno-sovranista assalita dalla prosa della realtà - ovvero lasciarsi manodurre dall'avversario nell'assunzione d'una nuova presa di coscienza (comunque infelice). Questa: l'abbandono dei deliri psichedelici e delle ipocrisie massimalistiche distillate a gran voce dai banchi dell'opposizione in materia di energia (le trivellazioni osteggiate), moneta comune (il passato remoto no euro), lotta anti establishment («la pacchia è finita»); per poi ammettere che l'unica festa già conclusa è la Halloween dei morti viventi trionfalmente fuoriusciti dall'oltretomba postfascista. Urge dunque un lavacro di verità che renda infine presentabile la destra nuova e di governo grazie alla certificazione regolativa calata dall'alto dell'azionismo di ritorno coltivato a Torino, un intransigentismo costitutivo che sconfina nel puritanesimo politico. I nuovi Catari della vigilanza antimeloniana vantano qualche ragione di merito, laddove rilevano incongruenze e pasticci normativi di cui dopotutto anche a Palazzo Chigi hanno preso subito atto. Ma nella foga inquisitoria dimenticano i passi già compiuti dalla premier alla vigilia del voto in fatto di rigore programmatico e palinodie antitotalitarie.
"Perché ha fatto sbarcare la Rise Above". Piantedosi, mossa "diabolica": come frega le toghe
PROCESSO DI RIMOZIONE
Il loro è un processo di rimozione caratteristico delle menti virtuiste, quelle stesse menti che sui giornali di famiglia rimuovono anche soltanto la tentazione di ammettere in un titolo l'espulsione della sinistra democratica dal discorso pubblico progressista e pacifista, ora che Enrico Letta si rivela il Caronte di un miraggio abortito. Ammettere, si diceva, che in definitiva il monopolio sinistro della religione civile antifascista imbracciato come un fucile partigiano non fa che ingrassare le destre e ritorcersi contro una Concordia nazionale mai così a portata di mano. Purché la si pianti di moraleggiare con la critica delle armi spuntate anziché con le armi della critica contemporanea. Come ha opportunamente rilevato ieri il sociologo Luca Ricolfi in una definitiva intervista su Libero.
Ma Giannini e la sua Brigata sono in buona compagnia. E non è tanto il circo mediatico dei talk costretti a semplificare il messaggio antifà mediante l'ostensione di brevi raffiche di modernariato post fascista, più penoso che compromettente (i video di Predappio e certe invereconde nazi-carnevalate, per capirci); è sopra tutto lo schieramento della seconda corazzata Gedi, il lato luminoso della forza schierato contro le forze oscure della reazione. È qui che brilla, non per caso dal Piemonte, l'ex direttore Ezio Mauro, l'ottimate cuneese artefice di uno strepitoso libro a puntate dedicato alla Marcia su Roma - anche nobilitato in un documentario per Raitre da «Stand by me» - nel quale riluce il ricorso sistematico, in chiusura di ogni cronaca, all'irruzione del monito irrazionale affidato a segni celesti e terrestri sul genere di quelli scrutati dagli aruspici antichi.
PARALLELISMI
Una scrittura ossessivamente eccelsa, la sua, che si ripropone settimanalmente nella caccia notturna dell'analogia con il presente. Un presente di cui Meloni personifica la febbricitante magia avatarica del Novecento, la riemersione limacciosa del peggior tratto autobiografico della Nazione. Trattasi per lo più d'un dialogo per iniziati ai misteri antifascisti, una celebrazione che tuttavia trova risonanza in alcune sollevazioni studentesche e nelle parole d'ordine professorali di cattivi maestri che non ce l'hanno fatta. L'obiettivo resta il medesimo: intimidire il potere del consenso qualificandolo come dominio, fintantoché tale consenso non scenderà a patti con il potere vero spossessato del proprio appannaggio. Drôle de voyage, per una sinistra impegnata nella più drammatica autoanalisi del Dopoguerra e alla quale gioverebbe tornare alla lezione di Ferruccio Parri: «Un esercito patriottico e non partigiano, nazionale, democratico, ma non politicizzato». Sarebbe un bel programma, e nient' affatto suprematista, da offrire a Giorgia Meloni per il prossimo 25 aprile.