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Meloni, il manifesto: così toglie alla sinistra ogni appiglio per strillare

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Fausto Carioti
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Molti dei suoi avversari lo hanno capito solo ieri, mentre Giorgia Meloni parlava all'aula di Montecitorio: davanti a loro non c'è la fascistella improvvisatasi statista e condannata ad essere una meteora, la miracolata della periferia urbana e politica con cui sognano di confrontarsi. Lei li conosce, sa che è questo che sperano e dopo settanta minuti chiude il suo discorso giocando con i loro pregiudizi: «Vengo da una storia politica che è stata spesso relegata ai margini della storia repubblicana e non ci arrivo tra le braccia di un contesto familiare favorevole o grazie ad amicizie importanti. Sono quello che gli inglesi definirebbero un underdog, lo sfavorito, quello che, per riuscire, deve stravolgere tutti i pronostici. È quello che intendo fare ancora, stravolgere i pronostici». Se c'è una che puoi riuscirci è lei, quella che nell'autobiografia ha scritto: «I nemici sono utili. Uno sprone a fare cose che altrimenti pensi di poter rimandare, a superare i tuoi limiti e correggere i tuoi errori».

 

 


Così da oggi l'Italia ha la sua "Iron Lady", una Signora di Ferro che in comune con Margaret Thatcher non ha solo una determinazione ignota ai colleghi maschi, la spinta data dalla molla delle origini umili e l'essere diventata la prima donna premier del proprio Paese, ma una solida cultura conservatrice, da cui attinge le proprie idee di governo. Un leader cresciuto a pane a politica che ora ha tutto per diventare una figura istituzionale di livello alto come il discorso che ha fatto ieri, nel quale non ha lasciato alla sinistra un appiglio che sia uno cui aggrapparsi: bastava vederli dopo, in Transatlantico, con le facce di chi non si aspettava nulla del genere, non un esordio così.

 


L'ITALIA E L'EUROPA 
Il premier italiano che ieri ha detto in parlamento che «l’Unione europea per noi è la casa comune dei popoli europei e, come tale, deve essere in grado di fronteggiare le grandi sfide della nostra epoca, a partire da quelle che gli Stati membri difficilmente possono affrontare da soli», e che Bruxelles deve rispettare «quel motto fondativo che recita: “Uniti nella diversità”, perché è questa la grande peculiarità europea, Nazioni con storie millenarie, capaci di unirsi portando ciascuna la propria identità come valore aggiunto», è figlia politica del premier inglese che nel 1988 disse che «la Comunità europea è uno strumento pratico grazie al quale l’Europa può garantire la prosperità e la sicurezza future dei suoi cittadini. L’Europa sarà più forte proprio perché ha la Francia come Francia, la Spagna come Spagna, la Gran Bretagna come Gran Bretagna, ognuna con i propri costumi, tradizioni e identità. Sarebbe una follia cercare di inserirli in una sorta di identità europea».

Un’eredità, quella thatcheriana, che traspare persino nel programma economico, quando la Meloni dice che «la ricchezza la creano le aziende con i loro lavoratori, non lo Stato», e dunque il motto del suo governo sarà: «Non disturbare chi vuole fare». Purtroppo per i suoi avversari, insomma, non è quella col fez la destra che la Meloni ha mostrato ieri in parlamento. È una «destra democratica» che anche «negli anni più bui della criminalizzazione e della violenza politica» cercava quella «pacificazione nazionale» che ora si spera finalmente raggiunta. Lei stessa, ripete, non ha «mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici. Per nessun regime, fascismo compreso. Esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre». Il suo messaggio, dentro e fuori i confini nazionali, è che questo governo è guidato non da un’anomalia della Storia, ma da un vero conservatore atlantico.

Un leader che sa che la soluzione più facile (anche da raccontare agli elettori) di rado è quella giusta. E per dimostrarlo dice, senza giri di parole, che «sbaglia chi crede che sia possibile barattare la libertà dell'Ucraina con la nostra tranquillità. Cedere al ricatto di Putin sull'energia non risolverebbe il problema, lo aggraverebbe». Si richiama ad una identità nazionale con radici profonde, anche nel pensiero politico: «L'Italia culla, insieme alla Grecia, della civiltà occidentale e del suo sistema di valori, fondato su libertà, uguaglianza e democrazia, frutti preziosi che scaturiscono dalle radici classiche e giudaico-cristiane dell'Europa».


Usa parole come «Patria» e «Nazione», ringrazia i nostri militari all'estero e quelli tra loro che ci hanno perso la vita, suscitando applausi ai quali solo la rossa Elly Schlein e pochi altri non si uniscono. Prova a vedere se tra i piddini c'è ancora un po' di orgoglio nazionale ed è a loro che guarda quando attacca chi, all'estero, dice di voler vigilare sul suo governo: «In quest' aula e nel nostro parlamento ci sono valide e battagliere forze di opposizione, più che capaci di far sentire la propria voce, senza - mi auguro - alcun soccorso esterno». In serata, replicando al Pd, sarà ancora più chiara: «La mia scelta è sempre e solo difendere l'interesse italiano, non farò mai la cheerleader di nessuno». Alla sinistra che si sente detentrice del monopolio della difesa dell'ambiente, spiega che «non c'è un ecologista più convinto di un conservatore», e cita il grande filosofo inglese Roger Scruton: «L'ecologia è l'esempio più vivo dell'alleanza tra chi c'è, chi c'è stato e chi verrà dopo di noi». Proteggere il patrimonio naturale è quindi importante quanto tramandare «il patrimonio di cultura, tradizioni e spiritualità che abbiamo ereditato dai nostri padri perché lo potessimo trasmettere ai nostri figli». Un discorso che Enrico Letta, avendo un'idea macchiettistica della filosofia conservatrice, non riesce a capire. Così, quando tocca a lui parlare, dice all'avversaria «che la frase che mi ha deluso di più è che "non esiste un ecologista più convinto di un conservatore"», perché «no, non è così», non è questo che è scritto nei libri che legge lui.

UN ALTRO ECOLOGISMO
Al segretario del Pd e a quelli che vorrebbero imporci ogni sacrificio col ricatto dell’Apocalisse prossima ventura, la Meloni replica che «quello che ci distingue da certo ambientalismo ideologico è che noi vogliamo difendere la natura con l’uomo dentro, coniugando sostenibilità ambientale, economica e sociale». Si scordino dunque che faremo la fame perle automobili elettriche, o che rinunceremo ad estrarre il metano nei mari italiani: «Possiedono giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno». Si è toccata con mano, quindi,la differenza tra un esecutivo politico, legittimato dal voto e con un’idea chiara dell’Italia e del suo ruolo nel mondo, e ciò che abbiamo visto negli ultimi undici anni. Ora quella che il nuovo presidente del consiglio chiama «la grande anomalia» dei governi «drammaticamente distanti dalle indicazioni degli elettori» s’è finalmente interrotta.

Diventerà un brutto ricordo se sarà approvata quella «riforma costituzionale in senso presidenziale» che ha promesso. Vedremo se i suoi alleati gliela faranno fare, o se l’idea di vederla diventare il nostro Charles de Gaulle sarà per loro insopportabile. E benvenuto anche il ribaltamento di retorica rispetto agli altri leader politici. Quelli che abbiamo avuto sinora erano convinti che gli italiani fossero fortunati ad essere governati da loro; la Meloni invece ringrazia gli italiani e sa che dovrà meritarsi la loro fiducia facendo ogni giorno la cosa giusta, anche se impopolare: «A costo di non essere compresa, a costo perfino di non venire rieletta». Insomma, sarà dura: per lei molto,ma per i suoi avversari di più.

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