Giorgia Meloni è "draghiana"? Allora la sinistra voti la fiducia
È stato fin troppo enfatizzato il fatto che, nell'allungarle la campanella simbolo del passaggio di consegne tra vecchio e nuovo premier, Mario Draghi non abbia infilato due dita negli occhi a Giorgia Meloni, ma anzi sia stato affabile, quasi sollevato, più o meno come chi rifila una gran sòla al malcapitato di turno. Pari scalpore ha suscitato la circostanza che, a Roma per altri motivi, il presidente francese Emmanuel Macron abbia trovato il tempo di incontrare per un'ora, in via informale, la nostra capa di governo, concordando perfino sul sostegno all'Ucraina e la necessità di trovare una soluzione per far fronte al caro bollette. Succede che quanti fino al 24 settembre avevano vaticinato e scritto che una vittoria del centrodestra avrebbe precipitato l'Italia nel caos e messo a rischio la nostra democrazia, inframmezzando le loro previsioni con dotte analisi su quanto sia diviso il centrodestra, siano rimasti un po' frastornati dal fatto che quello della Meloni è il governo che si è formato più velocemente nella storia della Repubblica, con l'unica eccezione del Berlusconi del 2008.
Spiazzante per la variegata comunità del centrosinistra è stato anche il fatto che il presidente Mattarella, anziché fare barricate sui nomi dei ministri, come aveva fatto con Conte e come Napolitano fece con Renzi, abbia dato il via libera a Giorgia dopo una conversazione di 80 minuti. Parimenti stupefacente è stato, agli occhi di chi si era intestato abusivamente Draghi in campagna elettorale, il fatto che il medesimo abbia consegnato al suo successore i dossier aperti sul tavolo, dedicandole un'ora e mezza per illustrarle la situazione.
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GARA A ELIMINAZIONE - Poiché tutti i tele-critici e i gazzettieri che fino a ieri alzavano il sopracciglio quando sentivano parlare della Meloni sono dei cani da tartufo del potere, è partita la gara a eliminazione per il riposizionamento. Una competizione che ha regole precise, la prima delle quali è che l'inversione di rotta non può essere brusca, a 180 gradi. E infatti, anziché dire che la leader di Fratelli d'Italia è un premier che altrove, per esempio negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Germania, ci potrebbero invidiare, i corifei progressisti hanno cominciato a sostenere che Giorgia è cambiata.
Dicono che, dopo aver guidato da sola all'opposizione allo scorso governo, è diventata draghiana, e lo provano i fatti che ha dato una consulenza gratuita a Cingolani e confermato Giorgetti nel ruolo di ministro, addirittura promuovendolo, e poi ha parlato con la Francia dopo averla sempre criticata perché troppo sovranista.
CALENDA IN CRISI - Insomma, per non riconoscere che Giorgia si sta dimostrando all'altezza di suo, sostengono che si sia convertita al verbo di SuperMario e della Ue, così che alla fine avrebbero ragione ancora una volta loro, i suoi critici di sempre. Addirittura, Carlo Calenda, non sapendo più che pesci pigliare, ha detto sprezzante che ormai la Meloni sembra una democristiana, forse dimentico del fatto che gli ex democristiani che fanno politica sono ormai tutti nel Pd, dove anche lui aveva trovato casa. Sempre per dimostrare che sono loro dalla parte della ragione, i progressisti sottolineano che la premier è intenzionata a dare seguito alle opere previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, quasi che questo fosse un accordo politico stracciabile da chi l'ha sottoscritto e non invece un impegno che vincola il Paese negli anni.
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A questo punto, se fossero davvero convinti di quanto sostengono, ovverosia che il governo Meloni è solo la prosecuzione di quello Draghi, gli esponenti del Pd e di Azione oggi e domani dovrebbero votare la fiducia a Giorgia, visto che hanno fatto tutta la campagna elettorale nel segno di SuperMario per sempre. Non lo faranno, il che dimostra che, al solito, non pensano quello che dicono.
RISPETTO - In fondo però non hanno tutti i torti. Se Draghi sorride alla Meloni non è perché l'ha affiliata ma solo perché lui rispetta le istituzioni e le loro regole e Giorgia, pur dall'opposizione, ha sempre rispettato lui molto più di quanto non abbiano fatto i leader che ne hanno sostenuto il governo, alcuni dei quali perfino intestandoselo. Così come se Mattarella le ha dato l'incarico in quattro e quattr' otto è perché non c'erano alternative percorribili e, soprattutto, la sinistra non vuole prendersi la rogna di governare un Paese che ha ridotto allo sfascio né può affrontare nuove elezioni, avendo bisogno di molto tempo per ritrovarsi. Tutte queste inconsuete cortesie e rapidità peraltro sono dovute non solo alla civiltà dei nuovi protagonisti ma anche al fatto che stavolta chi arriva prende il potere benedetto dal popolo dopo elezioni stravinte e non in seguito a giochi di palazzo o alchimie stravaganti che permettono a chi ha meno voti di governare. E questo serva a futura memoria. Quanto all'indirizzo del governo, Meloni terrà la barra a destra e si farà sentire in Europa, provando a sostituire la fallimentare maggioranza Ursula con una guida conservatrice. Il che non le impedirà di venire a patti con il Diavolo pur di far ripartire il Paese e soccorrere gli italiani ormai in bolletta, nel vero senso della parola.