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Alessandro Giuli avverte Meloni: ecco i nomi dei "gufi" pronti all'agguato

Alessandro Giuli
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Nemmeno il tempo di scambiarsi la campanella con Mario Draghi e Giorgia Meloni incontra subito a Roma il presidente francese, Emmanuel Macron, proiettando subito a livello internazionale la sua premiership. Ed è lo stesso giorno in cui la provincia mediatica italiana l'ha apostrofata con pensoso cipiglio all'indomani del giuramento davanti al nostro Capo dello Stato. «Gufi» li ha grosso modo definiti lei inaugurando il primo Cdm, con un fondo di scaramanzia trasformato in scusa buona per richiamare i ministri alla lealtà. 

 

Con qualche buona ragione, in effetti, ieri Meloni ha sottolineando la presenza di numerosi "uccelli del malaugurio" che già volteggiano sulle aspettative di vita dell'esecutivo. Il riferimento è ai giudici della carta stampata (ma non soltanto) che hanno accolto la nomenclatura di governo con i soliti interrogativi maliziosi: durerà o cadrà alla prima curva? A loro la premier Meloni vuole opporre una risposta corale, seria e responsabile, per mostrare che la classe dirigente di destra-centro è «una bella sorpresa per l'Italia». Ma chi sono, loro, i gufi?

Giorgia deve aver letto anzitutto Antonio Polito sul Corriere della Sera, il quotidiano della borghesia illuminata che pure non le sta mostrando particolare ostilità. Epperò Polito compila una pagina intera per soppesare i "pro" e i "contro" della squadra di Palazzo Chigi, evidenziando nella parte svalutativa che «la squadra è rissosa e squilibrata» e con nomi «non proprio di primo piano», 11 dei quali già ingaggiati dal governo Berlusconi oltre dieci anni fa; oltretutto c'è il «rischio conflitto» dentro la Lega per l'assegnazione del Mef a Giancarlo Giorgetti, cui Matteo Salvini prima o poi chiederà la luna; quindi una spruzzatina di scetticismo sulla Bicamerale per le riforme («le minoranze non ci saranno») e infine «il vuoto d'idee sul futuro del Mezzogiorno». Cinque siluri preventivi, a fronte però di altrettanti atout riconosciuti a Meloni.

Ma Polito è in buona compagnia. Sulla Stampa, il più paludato Marcello Sorgi passa in rassegna «le tre anime del governo» Meloni (istituzionale, tecnico-emergenziale e ideologica) per concluderne che «toccherà a lei vigilare sul sottile confine che sta tra un governo di destra, conservatore, e uno reazionario».

 

Molto più spigliato nel tono (eufemismo), invece, Francesco Merlo su Repubblica: nella consueta rubrica delle lettere, all'interrogativo circa i posti di sottogoverno da assegnare, risponde così: «Meloni sta certamente preparando uno squadrone, anzi una squadraccia di sopra-segretari»; ma questo non è nulla in confronto alla paginata dipinta dal medesimo Merlo sui «fascisti» che «invecchiano tra gli arazzi del Quirinale» nel giorno del giuramento. 

E fin qui siamo al comitato d'accoglienza più blasonato, appena più in basso stazionano altre delicatezze storico-cronachistiche - «Dal fascismo a Giorgia Meloni, la destra non ha classe dirigente» (Domani) - o più innocue carezze di cartavetrata sulla "Draghetta" - «Il governo Meloni già rinnega Giorgia» (Il Fatto quotidiano) - e via così, tra un sopracciglio alzato e una sentenza in contumacia («Il governo c'è, la maggioranza no», come certifica l'Espresso). Al confronto, sin troppo benevole sono apparse certe aperture di credito della stampa internazionale. 

Ma si sa che le regole del gioco queste sono, quando è la destra a vincere e a governare. Sicché Meloni risponde nell'unico modo che le viene naturale, ovvero richiamando i suoi all'operosità silente. Dopo 27 giorni di travaglio, record di velocità, il neonato governo è già chiamato a uno svezzamento accelerato in vista delle prime battaglie. «Tutti uniti per le esigenze del Paese». È il metodo Giorgia per allontanare gufi e altri pennuti.

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