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Sangiuliano, un antidoto al conformismo: il ruolo degli intellettuali conservatori

Spartaco Pupo
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Che Gennaro Sangiuliano sia un bravo giornalista è notorio: parla la sua brillante carriera da cronista politico, direttore di scuole di giornalismo e di testate importanti. Apprezzabile è anche la sua produzione saggistica, fatta di manuali, voci enciclopediche e biografie di potenti personalità politiche contemporanee, come Putin, Hillary Clinton, Trump e Xi Jinping. Ma c'è un lavoro cui Sangiuliano tiene particolarmente ed è quello che ha pubblicato nel 2008 per Mursia, Giuseppe Prezzolini: l'anarchico conservatore, 500 pagine dedicate a uno dei maggiori giornalisti e intellettuali italiani di sempre, il fondatore della Voce che confidava nella tradizione, diffidava del potere e fece della libertà la sua religione.

In nessun altro caso vale forse quanto disse un altro grande giornalista coetaneo di Prezzolini, l'americano Louis Fischer: «Una biografia è la storia vista attraverso il prisma di una persona». Quel libro di Sangiuliano, attraverso la vita centenaria di Prezzolini, narra l'Italia del Novecento, che l'autore conosce bene giacché ne rilegge i più importanti fenomeni filosofici, letterari e politici.

Prezzolini, del resto, fu forse il maggiore interprete italiano dell'intellettuale moderno, il "testimone utile" dei principali eventi del Secolo Breve, dalle avanguardie all'esperienza della Voce, dalla Grande Guerra alla nascita e caduta del fascismo, dalla Seconda guerra mondiale al lungo dopoguerra. Amico e ispiratore dei più influenti intellettuali italiani ed europei, Prezzolini - scrive giustamente Sangiuliano - «ha marcato la vita culturale e politica italiana sfuggendo sempre alla tentazione delle ideologie e del conformismo». Tentazione, questa, cui bisogna ritrovare il coraggio di sfuggire anche oggi.

QUALITÀ E QUANTITÀ
Sangiuliano, che arriva a identificarsi nel personaggio che analizza, sa bene che Prezzolini fu autore di uno splendido libro scritto a quattro mani con Papini, nel 1906, dal titolo La coltura italiana, con cui suonò la "sveglia" per gli italiani del suo tempo, chiamati all'insorgenza contro il collettivismo, l'uguaglianza deterministica, il «pescecanismo letterario» e la «vigliaccheria mentale». Serviva allora e serve oggi la «rinascita» dell'Italia attraverso la conoscenza.

Per Prezzolini la cultura non era un bene sociale da distribuire, non era un fatto di quantità ma di qualità, che si misura non con gli strumenti della statistica, ma coi talenti dei singoli e della «comunità degli individui». E c'entra poco con il carrierismo e i titoli legali della scuola pubblica.

In un Italia come quella odierna, chiamata a «liberare la cultura» dalle ideologie al servizio della quantità, un ministro prezzoliniano alla Cultura è una garanzia affinché la qualità riprenda il sopravvento e alla filosofia del sistema e della materialità subentri quella dell'uomo e della spiritualità. Ora che l'egemonia culturale della sinistra sconta il peccato di superbia perpetrato a lungo con la presunzione di dettare leggi universali, dovremmo iniziare a comprendere che la lotta politica non deve necessariamente assorbire l'interesse specifico per le scelte culturali, poiché esistono spazi da esplorare a prescindere dalle scadenze della vita pubblica. Va ripensata l'interiorità della vicenda umana non a partire dalla contingenza ma secondo l'essenza perpetua della vita, della sua tensione alla trascendenza, senza smarrire la consapevolezza del reale. C'è un urgente bisogno di tornare all'uomo quale è, superando il millenarismo escatologico di culture rimaste prigioniere di un utopismo universalista che ha prodotto solo esseri sradicati e alienati e società drogate e malate. Serve riscoprire il significato vero della cultura, come scelta di valori e interpretazioni che ci caratterizzano nella battaglia formativa della nostra esistenza. Auguri, ministro.

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