Feltri su Calenda: "Fa venire il mal di stomaco, ma...", un'enorme sorpresa
Non ricorre a tediosi giri di parole, conosce il valore del tempo e non lo spreca, eppure, nonostante ciò, è in grado di aspettare, veste e si comporta in maniera sobria, sa farsi rispettare con risolutezza e, senza abbaiare bensì con gentilezza, è capace di mettere tutti in riga, inclusa quella spina nel fianco che in queste settimane è stata Silvio Berlusconi. Giorgia Meloni rappresenta l'essenza del vero potere, quello che non si compiace di se stesso, che non abusa, che non si esprime mediante la forza, o l'arroganza, ma attraverso quel senso di orgoglio, addirittura di fierezza, che deriva dalla piena consapevolezza della propria legittimazione.
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È la prima premier donna, tuttavia Giorgia ci fa scordare il suo genere, che passa in secondo piano rispetto alla sua persona. Di sicuro non è come quelle donne elette o nominate grazie alle quote rosa, quelle poste all'apice perché sta bene, perché si deve, perché è giusto così, perché lo decidono gli uomini. Il suo ruolo lo hanno deciso milioni di italiani, non le è stato mica assegnato dai colleghi, per spirito caritatevole. Eppure è un fatto storico: abbiamo il primo presidente del Consiglio di sesso femminile. E non fa parte di quella compagine isterica che si riempie la bocca di femminismo per poi sputare fuori le donne da consessi, consigli, giunte, task-force, istituzioni in generale. Fa parte piuttosto di quella compagine politica considerata dagli avversari "maschilista", "misogina", "fascista". Un cortocircuito stridente che non possiamo rinunciare a sottolineare.
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Nonostante ciò, la democratica Debora Serracchiani disapprova Meloni per avere creato un governo con poche donne, poste in ruoli quasi tutti marginali. Insomma, per Serracchiani questo esecutivo, che è anche il primo guidato da una donna - lo ribadiamo - , sarebbe misogino. Stupisce che la sinistra, che nei Consigli regionali, ad esempio, ha poche rappresentanti, abbia l'ardire di rimproverare proprio e anche questo al centrodestra che di fatto anche a livello regionale dispone di più signore, altresì in ruoli apicali, rispetto a quante ne abbiano i progressisti. È la sinistra che si definisce "femminista" a relegare il gentil sesso ai confini della cosa pubblica. Diverso l'approccio di Carlo Calenda, di cui ho apprezzato le parole usate nei riguardi della neo-premier, alla quale ha riconosciuto l'essersi «battuta con coraggio per arrivare a Palazzo Chigi con le sue sole forze», aggiungendo che «avere una presidente del Consiglio donna», per di più di tale caratura, sia «comunque un grande cambiamento per l'Italia».
Del resto, è indiscutibilmente vero: Giorgia ha combattuto da sola, insieme con i suoi fedelissimi, ha resistito all'opposizione, ha mantenuto faccia e coerenza, ha creduto, ha lottato, ha atteso, non ha mollato e adesso siede a Palazzo Chigi. Calenda, che pure in campagna elettorale ci ha fatto venire il mal di testa e anche il mal di stomaco con le sue continue giravolte, si distingue da quella sinistra ormai avvitata, anzi attorcigliata, sulle solite recriminazioni deliranti nei riguardi degli antagonisti, che, stando ai radical-chic, si accingono a sovvertire la Costituzione, a soffocare i diritti delle donne, a dichiarare guerra alle minoranze di ogni tipo, a ripristinare il fascismo, morto ottanta anni addietro. Sarebbe il caso di smetterla con questa narrazione alterata la quale ha segnato il fallimento dei partiti di sinistra.