Mussolini? Bersani muto: ecco la foto di cui si deve vergognare
Pierluigi Bersani, perché accendendo la sconclusionata polemica sulla fotografia del Duce esposta al ministero dello Sviluppo economico ci ha mostrato ancora una volta l'essenza della Ditta post (?) comunista. Ovvero, il doppiopesismo storico, logico, morale. Riassunto del perbenismo iconografico secondo Pigi da Bettola (il borgo piacentino in cui è nato, per carità, non vorremmo qualcuno lo scambiasse per sinonimo di osteria, visto il rigore delle analisi storiografiche del nostro): il camerata Mussolini no, il compagno Lenin sì. Eggià, perché mica in un'altra era, a Muro di Berlino eretto, ma pochi mesi fa, per l'esattezza il 2 giugno, lo smacchiatore mancato di giaguari non aveva alcuna remora a farsi immortalare con alle spalle la fotografia di Vladimir Il'i Ul'janov, il vero ideatore e costruttore dell'incubo totalitario sovietico. L'occasione era un comizio nella sede Pd di Acri, provincia di Cosenza, dove Bersani si era recato con Francesco Boccia e col deputato di Articolo Uno Nico Stumpo. Era talmente a suo agio nel quadretto nostalgico di famiglia, che condivideva serafico l'immagine su Twitter.
Non lo disturbava, evidentemente, essere accostato a coluì che teorizzò il Terrore rivoluzionario come monopolio del Partito/Stato, istituì l'omicidio politico di massa e di classe, instaurò il "comunismo di guerra" per farla finita con i piccoli contadini proprietari e i retaggi borghesi.
RIPULIRE IL SUOLO - Solo per dare l'idea, un paio di pillole del Lenin-pensiero: «L'obiettivo comune e unico: ripulire il suolo della Russia di qualsiasi insetto nocivo, delle cimici: i ricchi». «I kulaki.. questi ragni velenosi, queste sanguisughe che hanno succhiato il sangue dei lavoratori... A morte!». Niente che giustificasse la rimozione della foto, per Pigi. Del resto, c'è un filo rosso che lega la nostrana sinistra democratica al macellaio bolscevico, basti pensare a Marco Sarracino, uno dei magnifici "under 35" piazzato nelle liste del Pd da Letta, attualmente deputato della Repubblica, che in un post del 2019 celebrava l'anniversario della Rivoluzione d'Ottobre con gigantografia di Lenin e didascalia: «Beati quelli che si ribellano per ottenere un mondo più giusto».
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Non sappiamo se l'idea di "giustizia" delle nuove leve Pd consista nello scenario delle isole Solovki, nel Mar Bianco, dove su imprimatur di Lenin furono allestiti i primi campi di concentramento per dissidenti, nemici del popolo e reietti vari della distopia comunista. Sappiamo che all'ultima grande manifestazione elettorale del 24 settembre scorso, in Piazza del Popolo a Roma, tra le bandiere del partito campeggiava un vessillo con la falce e il martello e il volto di Ernesto Guevara de la Serna, fucilatore di debosciati omosessuali e autore di illuminate sentenze come «Non abbiamo bisogno di una prova per l'esecuzione di un uomo». Nessun dirigente dem si è sognato di farlo rimuovere, come d'altronde anni fa non rimosse dal proprio ufficio il poster con i tratti del "Che" l'allora consigliere regionale Pd Stefano Scaramelli, oggi vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana per Italia Viva.
«Rappresenta la lotta di chi sta dalla parte dei deboli», disse Scaramelli con (sur)realismo socialista pari forse solo a quello con cui la giunta bolognese a trazione Pd di Virginio Merola rispose disinvoltamente "niet" alla proposta avanzata nel 2019 di cambiare nome a viale Lenin, per tornare a bomba. Quello col padre dell'Unione Sovietica (una delle più rimarchevoli macchine di morte escogitate dalla contemporaneità) pare essere un legame ancestrale, per il partito erede del Pci: sue effigi e suoi busti sono presenti in molti circoli sparsi per lo stivale, ad esempio in quello storico di San Teodoro a Genova, come apparve nitidamente in un videoreportage di Repubblica del luglio scorso.
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AMMIRATORE DELLA CINA - Tutti dilettanti, comunque, rispetto al Migliore per eccellenza, il vero erede di Togliatti: Massimo D'Alema. L'ammiratore dichiarato della Cina comunista («un Paese molto avanzato in grado di offrire una prospettiva alle nuove generazioni») ha più volte confessato candidamente, da ultimo ad Antonio Polito sul Corriere del 19 dicembre 2020 e a Daniela Preziosi sul Domani dell'11 settembre 2021, di custodire nel suo ufficio della fondazione ItalianiEuropei un ritratto di colui che L'Unità definì «l'uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell'umanità»: Josif Stalin. Il "piccolo padre" che per liberare l'umanità fece una ventina di milioni di morti, pianificò il genocidio del popolo ucraino noto come Holodomor (corsi e ricorsi), edificò il Grande Terrore per affermare, in un delirio di sangue e processi sommari, il proprio dominio incontrastato sull'Urss.
Proprio per questo D'Alema ha spiegato di tenere il ritratto per terra: «Stalin non merita di essere appeso al muro, ha ucciso troppi comunisti». Non troppi uomini, troppi comunisti. Anche le battute, specie le battute, sono lapsus rivelatori della stortura ideologica. Forse ci sono uomini meno uomini, per tutti costoro. Certamente, ci sono dittatori meno dittatori.