Silvio Berlusconi, "perché ho attaccato la Meloni". Pesantissima frase rubata
Il vaffa in faccia a Ignazio La Russa e i pizzini in aula al Senato contro Giorgia Meloni? Motivati dalla necessità di difendere, anche plasticamente, il suo partito "in sofferenza". Silvio Berlusconi, nel faccia a faccia con la leader di Fratelli d'Italia servito a riappacificare la coalizione dopo una settimana di fuoco e veleni incrociati, non ha nascosto nulla. L'amarezza per una trattativa iniziata male e finita peggio, il dolore politico e personale per il veto su Licia Ronzulli, sua fidatissima collaboratrice. E proprio su quest'ultimo punto, anche la Meloni è voluta essere franca e diretta, chiarendo perché sul "no" alla forzista nel governo ha voluto fare una questione d'onore.
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"Difficile che due personalità come quelle dimentichino", si sarebbe sbilanciato un leghista (anonimo) con il Corriere della Sera, riguardo a Silvio e Giorgia. Che in realtà hanno sotterrato l'ascia di guerra per un motivo molto semplice: la possibilità di avere un governo di centrodestra, forte e coeso, per 5 anni è forse una situazione irripetibile e buttarla alle ortiche prima ancora di cominciare sarebbe uno scempio senza ritorno. "Superiamo questa fase, lasciamoci alle spalle i dissapori", è la versione di entrambi gli alleati-contendenti. Il Cav ha motivato quelli appunti scritti a penna su carta intestata riguardo alla Meloni e al suo comportamento (da "arrogante" al cancellato "ridicolo") come le critiche mosse da vari esponenti di Forza Italia. Un riassunto, insomma, non opinioni personali del leader. "Il mio atteggiamento - avrebbe poi confidato - è stato dettato soltanto dal voler andare incontro al mio partito in sofferenza. Ma ora dobbiamo dare ascolto con urgenza alla sofferenza del Paese che si trova di fronte prospettive difficili". E anche sul non voto dei senatori forzisti per La Russa presidente di Palazzo Madama, ha glissato: "È un amico da tanti anni, mai avrei potuto non dargli il mio voto".
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Sulla Ronzulli, come detto, Meloni sarebbe stata schietta: deve restare fuori dal governo, ma ovviamente nessun veto per altri incarichi istituzionali (per esempio, al Senato). Questo perché, spiega sempre il Corsera, "la polarizzazione sul suo nome avrebbe potuto diventare un vulnus all'immagine della premier in pectore, un'imposizione che lei non può in nessun caso accettare".