Pd allo sbando, così la guerra sta facendo esplodere il partito
Con i pacifisti o con l'Ucraina che si difende con le armi? Bandiera arcobaleno o bandiera gialloblu? Pace a tutti i costi oppure pace giusta? Angosce di un Pd che si è smarrito ed è senza navigatore. Sinora ha cercato di far convivere l'appoggio a Volodymyr Zelensky, determinato a riconquistare ogni zona invasa dai russi, con le voci di chi, a sinistra, chiede di far cessare il fuoco e trattare sulla base dello status quo. Come se le due cose fossero compatibili. Un'ambiguità destinata a finire presto, perché la realtà chiama: il 21 ottobre inizieranno le proteste pacifiste che sfoceranno nella grande manifestazione di novembre e si inizierà a contare chi è in piazza e chi no. E il Pd, tanto per cambiare, è lacerato.
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IL PROBLEMA MELONI
Al governo con Mario Draghi era facile: il contratto obbligava a stare con lui, e quindi con Washington e con Kiev. Nessun cedimento in pubblico, nulla che potesse assomigliare all'equidistanza tra aggressore e aggredito. Ma Draghi ormai è il passato, al pari di Enrico Letta. A palazzo Chigi sta per arrivare una Giorgia Meloni che si annuncia filoatlantica quanto il suo predecessore. E questo amplifica il dramma: può il Pd stare sulla stessa posizione della premier più a destra di sempre e farsi scavalcare sul tema del pacifismo da Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni, che già pregustano bagni di folla con i partigiani rossi dell'Anpi, l'Arci, le Acli, la Cgil e le associazioni per il disarmo? Così nel partito uscito sconfitto dalle elezioni si soffre e si litiga. L'ex margheritino Graziano Delrio, dossettiano emiliano, la scelta l'ha già fatta e l'ha ribadita ieri: «Chiediamo a gran voce un'azione degli organismi internazionali per il cessate il fuoco e l'apertura di un negoziato». Dopo aver votato per fornire le armi agli ucraini, vuole che la priorità cambi e che il Pd spinga per la trattativa. Delrio è uno di quelli che parteciperanno alle manifestazioni organizzate dalle sigle pacifiste. Lo faranno molti del suo partito, anche per evitare, come dice il vicesegretario Peppe Provenzano, di «regalare la parola "pace" a Conte», che già ha rubato troppi voti.
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Ci sarà il Pd bolognese, che ha scelto in autonomia dal Nazareno. «A livello nazionale il partito deve impegnarsi maggiormente per la fine del conflitto», attacca la segretaria dem di Bologna, un'altra convinta che la linea tenuta da Letta e dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, sia sbagliata. «Manifestazioni per la resa degli ucraini», le chiama Carlo Calenda. Il leader di Azione prova a infilarsi nella frattura del Pd proponendo «una grande iniziativa» di segno opposto, «per il sostegno all'Ucraina».
Lo aiuta il fatto che in piazza con Conte e i pacifisti ci sarà l'Anpi di Gianfranco Pagliarulo, perla quale l'invasione dell'Ucraina - come ha spiegato nei mesi scorsi - è colpa dell'imperialismo a stelle e strisce. Problema fotografato da Pier Ferdinando Casini, rieletto in parlamento col Pd proprio a Bologna: «Mi auguro che le manifestazioni per la pace sappiano distinguere con chiarezza gli aggrediti e gli aggressori, i carnefici e le vittime. Ogni equidistanza sarebbe inaccettabile». Stesso avvertimento che dà il sottosegretario uscente agli Affari europei, Enzo Amendola: «Vogliamo tutti la fine della guerra, ma in questa storia non è ammessa equidistanza».
Un mal di pancia condiviso da altri, tra cui Filippo Sensi, che fu portavoce di Matteo Renzi: «Non credo che nessun democratico possa scendere in piazza oggi se non in una manifestazione sbandierata di gialloblu, al fianco dell'Ucraina, contro la dittatura sanguinaria di Putin». Tradotto: chi andrà in piazza con la bandiera arcobaleno assieme a Conte, a Pagliarulo e alla sinistra radicale di Fratoianni e Luigi de Magistris, farà un favore al despota russo.
NAVE SENZA NOCCHIERE
Anche Lia Quartapelle, responsabile Esteri del partito, ne ha per chi sfilerà in quelle strade: «Senza solidarietà con chi subisce in prima persona gli effetti della guerra, parlare di pace, manifestare perla pace diventa un esercizio buono solo per la polemica interna». Accuse respinte da Marco Miccoli, membro della direzione nazionale del Pd e uomo di Nicola Zingaretti (un altro atteso in piazza): «Chi etichetta le mobilitazioni pacifiste come filo-Putin, fa un'operazione di sciacallaggio politico». Quando Letta interviene su Twitter, l'unica cosa che riesce a dire è «stiamo con il popolo ucraino». Non una parola su chi andrà in piazza e su chi dice che è un errore andarci. Però annuncia che giovedì il Pd farà un presidio di fronte all'ambasciata iraniana a Roma, ad un mese dall'arresto e della morte di Masha Amini, per portare «tutta la nostra solidarietà nei confronti delle donne iraniane che in questo momento combattono per i loro diritti». Nobilissima causa, che a differenza dell'altra non gli spacca il partito.