Quell'Italia povera che abbraccia i Cinque Stelle
L'ex premier è l'idolo dei diseredati, il M5S si dimezza rispetto a cinque anni fa ma festeggia perché si è evitato il tracollo. Un successo comunque che, all'insegna del reddito di cittadinanza, ha svuotato l'elettorato della sinistra
Ci fu un tempo in cui erano spaghetti e scarpe (solo la scarpa sinistra, la destra arriva dopo il voto, acca nisciuno è fesso); oggi è reddito di cittadinanza, come piovesse. Un po’ evocando la mitica campagna elettorale del napoletanissimo armatore Achille Lauro nel ’56 all’insegna del voto di scambio, un po’ richiamando i viceré di De Roberto e la schizofrenia dell’Uno, nessuno, centomila di Pirandello, Giuseppe Conte ha consumato la sua campagna elettorale in modo romanzesco. Assai romanzesco.
Ora è il momento delle suggestioni sull’inevitabile vittoria del Movimento 5 Stelle: il 15, 5%, nella tornata elettorale che avrebbe dovuto cancellarlo. Non ci si crede. Intendiamoci. Sul piano della lettura storica si tratta di un dimezzamento dei voti del 2018.
Ma su quello delle maggioranze parlamentari – per come s’era messa, e s’era messa malissimo - Conte ha compiuto un piccolo capolavoro. Ha svuotato il Pd della sua parte sinistra, spingendo perfino a dichiarazioni di voto a suo favore esponenti di Articolo Uno a cui Letta ha assicurato seggi sicuri, come Loredana De Petris; ha ripudiato tutte le proprie azioni governative che annunciavano l’evoluzione liberaldemocratica dei grillini, ed è passato da Prodi a Che Guevara, passando per D’Alema; ha dato l’impressione di essere il leader dell’unico partito in grado di poter intralciare, a Palazzo Madama, l’avanzata di Salvini e Berlusconi (meno di Meloni) nei collegi uninominali del Rosatellum, soprattutto in Puglia, Campania e Sardegna. È riuscito a sfondare in Sicilia, la regione, sì, col maggior numero di precettori del reddito di cittadinanza; ma pure la regione dove, con spettacolare incoerenza, da un lato il M5S denunciava le liste di impresentabili, dall’altro sosteneva i candidati locali di Totò Cuffaro che per i pentastellati è sempre stato l’“impresentabile” per eccellenza. Per dire, nessuno che l’abbia fatto notare: le contraddizioni dei 5 Stelle sono sempre state immerse in uno strano oblio. E il bello è che nessuno, al Nazareno, si è accorto di ciò che stava accadendo. Al punto che il buon Letta, fino all’ultimo, accreditava la tesi per la quale un voto a favore del M5S al sud avrebbe favorito il suo Pd; epperò, caro Enrico, il Movimento 5 stelle non risulta alleato in nessun modo con il Pd, nonostante gli afflati nostalgici, in tal senso, di Boccia o Emiliano.
Infine Letta ha ribadito che il Sud «non si salva con un derby tra Lega nord e il M5s nelle vesti di Lega sud». Che, infatti, poi, s’è visto.
Ma per capire la dinamica dei flussi, la resurrezione del grillismo – che poi, oggi è diventato contismo allo stato brado - sulle ceneri dei Dem e le posture di Giuseppe Conte; be’, non si può ragionare con i soliti parametri. La logica finisce laddove inizia la narrazione di Conte. Nella nottata di ieri, le redazioni dei giornali si gonfiavano di notizie a ripetizione sulla scalata del M5S che doveva essere risucchiato dalla scissione di Di Maio, e alla fine quella scissione è stata la sua salvezza. La forbice elettorale richiamata su Conte era quasi sempre “14-18” che, detta così, richiama la più cruenta delle guerre mondiali.
Sicché, in una notte, noi tutti ci siamo ritrovati catapultati in un mondo in cui le “bimbe di Conte”, tra schiamazzi e urla da groupies, erano passate da fenomeno di costume a forza storica. No. Per comprendere questa strabiliante realtà dei fatti, serve entrare nella testa dell’avvocato appulo, attraverso una sfolgorante battuta di Maurizio Gasparri, «Conte ragiona da sughero»: la sua ineffabile capacità di galleggiamento è un’arte quasi cavouriana. Queste elezioni dicono che lo puoi contenere, ma non abbattere. Lo dico quasi con una certa ammirazione.
Uno che si mangia i comunisti così, partendo dalla Dc pugliese, da giacca e cravatta e pochette, dal rapporto con Putin e Trump, dal “sovranismo in Costituzione” (quando era pappa e cicca con Salvini); e passa per i rigassificatori, Zingaretti e Bettini; per poi arrivare a distribuire reddito e pagnotte e a fare il Lula delle piazze, camicia sudata sotto le ascelle; be’, uno così, ha un che di esoterico. E poi c’è la storia che il reddito di cittadinanza al sud è il mantra, e Conte ne è il profeta.
Ma non è solo il reddito; ci sono state le promesse del salario minimo, la lotta contro l’autonomia differenziata della Lega, il sud “sfruttato dal nord” e la lotta alle diseguaglianze contro i poteri forti rappresentati da un banchiere – Draghi - al potere. Tutto questo mix d'ineffabile, calcolato populismo è ora esploso nell’urna. Come accadde nel 2013 e nel 2018, ma a dimensioni molto più ridotte. Dopo aver depotenziato i suoi ex alleati, ora si tratta di vedere come Conte schiererà i suoi eletti. Sembrava morto, si era solo un tantino irrigidito…