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Vittorio Feltri, campagna elettorale da circo: ecco il peggiore di tutti

 Vittorio Feltri

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A surriscaldare il clima di questa estate rovente ha contribuito sensibilmente la campagna elettorale più bizzarra ed accelerata della storia della Repubblica. Gli abitanti della penisola giungeranno alla fatidica data con le scatole alquanto piene, a loro la nostra piena solidarietà e la nostra comprensione. Ci consola il fatto che dalla prossima domenica ci lasceremo alle spalle i deliri febbrili dei leader politici ai quali più che racimolare voti sembrava interessare sottrarli agli antagonisti, bersaglio quotidiano di attacchi scomposti e anche penosamente puerili.

Ecco perché più che una campagna elettorale a me è parsa una campagna bellica, combattuta con ogni genere di arma, propria e impropria, in particolare con lo sparacazzate. Gli schieramenti hanno tentato non di costruire consenso, bensì di distruggere il consenso di cui godono gli avversari, talvolta giocando addirittura sporco o cavalcando notizie del tutto prive di fondamento ed evanescenti come quella secondo la quale alcuni partiti italiani avrebbero ricevuto quattrini da Vladimir Putin. Abbiamo messo da parte il coronavirus, la crisi energetica, il conflitto russo-ucraino per focalizzarci su intenzioni, programmi e promesse (rigorosamente vane) provenienti da destra e sinistra.

 

 

 

Il politico più imbranato è stato senza dubbio Enrico Letta, mollato sul più bello persino dal suo ecobus, cioè il mezzo elettrico selezionato per gli spostamenti da una città all'altra. Enrico, intenzionato ad avvicinare giovani e indecisi, dopo il "viva le devianze" urlato su Twitter ha posto una questione altamente divisiva per gli italiani, ovvero: la carbonara è più buona con il guanciale o con la pancetta? È così che la sinistra spera di conquistare i cittadini, fingendo di scendere dal piedistallo per sedere a tavola con noi gente comune e gustare, anziché il caviale, la pastasciutta. Peccato che questi tentativi siano poco convincenti, tanto più quando poi accade che il segretario del Pd blatera di patrimoniale in un periodo in cui imprese grandi e piccole e famiglie sono alla canna del gas tra caro bollette e carovita. Lo scollamento della sinistra dal popolo non si risana con il condimento per i bucatini né tantomeno da un giorno all'altro.
 

Giuseppe Conte, dal canto suo, vuole farsi passare quale avvocato del piccolo e medio imprenditore, vessato dalle tasse e da uno Stato che talvolta lo criminalizza. Peccato che egli sia poco persuasivo dal momento che è lo stesso Giuseppe Conte che ha protratto in maniera ingiustificata la chiusura di attività di ogni tipo portando al collasso e al fallimento attività poco prima fiorenti. Quante ne ha stese lui di aziende nessun altro!

 

 

 

E cosa dire di Carlo Calenda? All'inizio della corsa alle urne ha monopolizzato il dibattito pubblico prima con la trattativa per coalizzarsi con il Pd, poi con l'alleanza e in seguito con il divorzio dai dem, che a Carlo non vanno bene perché sarebbero troppo a sinistra, mentre Meloni sarebbe troppo a destra e addirittura inesperta per governare, stando al giudizio del leader di Azione, che insieme a Renzi ha coniato l'efficace slogan di queste votazioni: "Italia sul serio". Insomma, come per informarci che fino ad ora ci siamo solo divertiti e da adesso in poi non si scherza più. In queste settimane i politici non ci hanno neppure risparmiato ingegnose soluzioni per combattere il freddo invernale nell'epoca della crisi energetica. L'idea più astuta forse è quella dell'ex ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina, la quale dopo i banchi a rotelle contro il coronavirus ha inventato il termosifone a rotelle da spostare da una camera all'altra. Ad ogni modo la problematica, sempre più urgente, non sembra premere molto ai candidati, i quali per intercettare l'attenzione dell'elettorato hanno puntato sui cari vecchi e intramontabili temi. Per la sinistra si tratta naturalmente dell'allarme fascismo, gridato in tutte le lingue e proposto in tutte le salse.
 

SUI SOCIAL - Ora il nemico numero uno della democrazia è, secondo i progressisti, Giorgia Meloni, la quale sarebbe una novella ducetta smaniosa di sovvertire l'assetto costituzionale nonché nume tutelare del patriarcato, nonostante negli ultimi anni Meloni, salda all'opposizione, non abbia fatto altro che difendere norme e valori costituzionali e nonostante ella sia una donna simbolo della emancipazione, della indipendenza e della forza del suo medesimo genere. Questa campagna elettorale più che in tv e sui giornali si è svolta sui social network, dove i leader dei vari schieramenti postano, twittano, commentano, pubblicano letteralmente 24 ore su 24. La novità assoluta di questo giro è il ricorso ad una nuova piattaforma che io mi guardo bene dal frequentare, ovvero Tik-Tok.

Silvio Berlusconi si è dotato del suo account per reperire, in quel virtuale bacino di giovanissimi, voti sulla base della simpatia, sfoderando le sue riconosciute doti di barzellettiere, nemmeno fossimo a "La sai l'ultima".

Matteo Salvini, dopo lunghe giornate nelle piazze, sulle strade, negli studi televisivi, in montagna, al mare, in centro, in periferia, nei comizi, ci regala la sua consueta diretta notturna su Tik-Tok, dove una platea di affezionatissimi attende la sua buonanotte per dormire sonni tranquilli.

Il ministro Gigi Di Maio, invece, passa da una pizzeria all'altra, facendo l'aeroplanino, come è accaduto in una trattoria di Napoli. Insomma, nelle ultime settimane siamo stati spettatori di una specie di circo, con tanto di pagliacci. Non illudiamoci: lo show proseguirà dopo il 25 settembre con il passaggio sul ring quando si tratterà di dare vita a un governo a cui tutti, meno nessuno, aspirano a tutti i costi a prendere parte.

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