Pd, Enrico Letta: quando apre bocca perde voti, ecco perché
L'unica buona notizia per Enrico Letta, intento a consultare sempre più nervosamente i sondaggi, è che oggi - per legge - è l'ultimo giorno in cui potranno essere divulgati. «Sarà una campagna elettorale bellissima», ha festeggiato non a caso ieri, «da domani (stasera, ndr) non ci saranno più e si comincerà una campagna parlando con le persone». C'è da credergli: per lui è senza dubbio meglio procedere senza percentuali fra i piedi. Il motivo lo fornisce l'ultima rilevazione di Emg, presentata su Libero, che certifica il disastro: il Pd è "già" sotto la soglia psicologica del 20%. "Occhi di tigre" miagola malinconicamente al 19,5%. Non va meglio con il resto delle analisi che, seppur con qualche decimale in più, confermano tutte la stessa cosa: il distacco sempre più pesante nei confronti dei Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni. I motivi di questa erosione di consenso, dunque del fallimento del «sogno» del leader del Nazareno di salvare la propria segreteria «perdendo da primo partito» (il che è già tutto dire: sulle coalizioni non ci pensa nemmeno), sono stati squadernati da Pietro Senaldi su queste colonne. In primis - dopo l'implosione del campo largo e poi di quello draghiano - vi è stato l'errore di polarizzare lo scontro che, di fatto, altro effetto non ha ottenuto che rafforzare la volata della dirimpettaia Giorgia.
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TERRORIZZANTE - Lezione assimilata dal "giovane Letta"? Per nulla. Anche ieri è tornato a tuonare di pericolo per la democrazia nel caso di una vittoria del centrodestra. «L'effetto combinato di questa legge elettorale (votata dal suo Pd, ndr) e della riduzione del numero dei parlamentari (riforma passata grazie al suo Pd, ndr) fa sì che se la destra prendesse il 40%, e il fronte opposto si dividesse in parti uguali, a Meloni, Salvini e Berlusconi andrebbero il 70% dei seggi». Non solo. Oltre al solito pianto greco sulla possibilità, nel caso in cui il centrodestra dovesse conquistare i due terzi dei seggi, di cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza (tesi smentita dalla Meloni: pronta ad accettare una Bicamerale), per Letta anche il tema del presidenzialismo rappresenterebbe di per sé un tentativo di lesa maestà: «Tutta questa fretta, questo ardore, nascondono il vero obiettivo della destra: mandare a casa Sergio Mattarella».
Insomma, Enrico non ha alcuna intenzione di uscire dal copione terrorizzante che in queste settimane non gli ha portato alcun gettone politico né un dividendo elettorale. La novità qual è allora? Che dopo la stroncatura di Mario Draghi (definitivo al Meeting: «L'Italia ce la farà con qualsiasi governo»), anche i futuri" alleati iniziano a non reggerlo più. Se mercoledì era stato Giuseppe Conte a sconfessare l'allarme democratico («Non userei questi toni, l'Italia è una democrazia avanzata e solida») ben altre parole ha usato ieri Carlo Calenda: «Tutte cazzate», ha tagliato corto il numero uno di Azione, «non si caccerà Mattarella e non si cambierà la Costituzione». Bocciata pure la grottesca campagna "rossonera": «Non esiste niente che è rosso o nero come dice Letta, quella è la roulette. Mi ci diverto pure, ma quella non è politica».
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ORLANDO LO ROTTAMA - A dare manforte a Calenda è arrivato lancia in resta Matteo Renzi. L'ex rottamatore (di Letta) ne ha per tutti i gusti. Prima arriva la stoccata sulla strategia di polarizzazione: «Da quando Letta si è messo a fare campagna elettorale stanno crescendo Meloni e Conte: è il loro miglior alleato». Poi quella sulle alleanze: se la destra stravince, questo è il senso, è colpa sua. «In molti collegi la partita è già decisa, perché Letta ha fatto una scelta suicida», ha attaccato Renzi. «Aveva tre possibilità: allearsi coi grillini per vincere i collegi al Sud, fare l'alleanza con l'area Draghi o andare da solo». Il risultato? «Letta, roso dal rancore verso di me, ha chiuso la prospettiva dell'area Draghi e non se l'è sentita di fare un accordo con il M5S e ora sui collegi non tocca palla». Letta non toccherà palla nemmeno in quel Sud dove avrebbe potuto segnare un inatteso goal: alle Regionali in Sicilia. Parola dell'ennesimo sondaggio, quello di Nando Pagnoncelli. Qui - a fronte di un centrodestra primo con Renato Schifani che subisce però a un passo la pressione "da destra" dell'outsider Cateno De Luca- l'implosione dell'intesa con i 5Stelle rischia di far arrivare solo terza la candidata del Pd Caterina Chinnici la quale invece, con i voti dei grillini, avrebbe potuto spuntarla clamorosamente nel turno unico. Anche questa più che probabile sconfitta, insomma, sarà tutta da addebitare alle "perle" di Letta. Sul quale incombe lo spettro del congresso e del possibile successore Stefano Bonaccini. La conferma? La smentita delle manovre di uno degli indiziati del "letticidio": il leader della sinistra "giallorossa", Andrea Orlando. «Penso che, tanto più se non dovesse andare bene, ci sarebbe bisogno di qualcosa di diverso dell'individuazione di un capro espiatorio: il tema vero non è cambiare la figurina, il nome». Tradotto, gli ha praticamente ridetto: Enrico stai sereno...