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Antonio Noto sulla Lega: "Ecco dove arriverà al voto". E sul Pd: "Troppi errori"

Antonio Rapisarda
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La sua ultima rilevazione per Porta a Porta fotografa una tendenza chiara: il centrodestra, con Fratelli d'Italia sugli scudi, è avanti di 20 punti rispetto all'ex campo largo. Partita delle Politiche già chiusa in vista del 25 settembre, dunque? «Non si vota "domani" ma fra tre settimane. C'è ancora un 30% di indecisi». Lo spiega così Antonio Noto, presidente dell'istituto Noto Sondaggi, per il quale - nonostante una campagna elettorale «senz' anima» - c'è ancora tempo «per cambiare qualcosa».

Qualcosa che può far cambiare gli equilibri? E che cosa dovrebbero offrire i leader per conquistare o riconquistare consenso?
«Siamo davanti a una campagna elettorale dove mancano i "picchi". Come se i partiti fossero intenti soprattutto a fare un po' la lista della spesa. Si sono convinti, non so perché, che promettendo soldi per tutti - chi agli insegnanti, chi alle partite Iva, chi ai dipendenti - possano attrarre consenso. Le altre campagne elettorali sono state fortemente caratterizzate: nel 2018 dal reddito di cittadinanza dei 5 Stelle, nel 2019 dal tema immigrazione di Salvini, prima ancora dal bonus degli 80 euro di Renzi. Adesso, invece, non vedo un soggetto che si differenzia in maniera decisiva rispetto agli altri o che porta quella proposta forte che può risultare un pugno nello stomaco».

Quanto peseranno in questi ultimi 20 giorni i temi economici? Ossia il gas, le bollette e l'inflazione?
«Se lo chiediamo agli italiani, il tema economico è in cima alle loro priorità. Dall'altra parte, però, non c'è nessun partito che presenta una ricetta per affrontare questo tema. Su questo dicono tutti la stessa cosa ma nessuno dice: "Ecco la mia ricetta per combattere l'inflazione. Ecco quella per diminuire le bollette". Invocano tutti l'aiuto dello Stato. Il problema è che questo potrà esserci una volta ma il caro bollette ce lo ritroveremo nuovamente fra 3 mesi. È come se su questo dossier ci sia un po' una paralisi generalizzata».

L'elettorato a chi mette in conto il caro vita? A Draghi, alla guerra, all'Europa, ai bonus di Pd e M5S?
«È un mix. Di sicuro, però, non a questo governo. Lo mette in conto, tanto, alla guerra: anche se è vero che i prezzi erano aumentati prima ma poi sono aumentati tantissimo dopo. In ogni caso è frutto di tanti fattori, anche internazionali, e questo è un vantaggio per i partiti: in quanto gli italiani non incolpano una particolare area politica del salasso. Se ciò da una parte è vero, dall'altra gli elettori sono insoddisfatti però di come i partiti stanno gestendo questo momento: senza immaginare qualcosa che possa determinare un cambiamento concreto».

Passano le stagioni ma il centrodestra alle elezioni si presenta sempre unito. Ed ancora una volta è in testa ai sondaggi. Come se lo spiega?
«Perché fondamentalmente gli italiani sono in maggioranza di centrodestra. Quest' ultimo poi è avvantaggiato dalle scelte di Letta e dei suoi alleati: mentre si presenta unito, l'area - per quanto non omogenea - del centrosinistra non fa altrettanto. Certo, se dovessimo fare un semplice calcolo matematico, sommando le percentuali del centrosinistra più il M5S e più Calenda e Renzi, in realtà il risultato sarebbe molto simile a quello del centrodestra. Di fatto un testa a testa. La differenza sostanziale è che il centrodestra sa presentarsi unito al cospetto di una legge elettorale che favorisce e premia la compattezza».

L'allungo di Giorgia Meloni è dovuto semplicemente al fatto di non aver governato e di essere la novità o c'è molto di più?
«Di sicuro Giorgia Meloni si gioca la carta di non aver governato. Tutti i partiti che hanno sostenuto Draghi, per quanto Draghi sia percepito come una figura di alto livello, hanno pagato in termini di percentuali di consenso. Governare "logora". Teniamo presente poi che la Meloni, al di là di quello che si dice, non aggrega solo un elettorato di destra. Se aggregasse solo quello non supererebbe il 7%. Ciò significa che nel 16% aggiuntivo di FdI c'è un po' di tutto. Per cui anche se il racconto sulla Meloni fatto dai media è quello di una leadership di destra, nella realtà l'elettorato della Meloni è più che trasversale. Attenti però: sappiamo bene che il ciclo di vita dei partiti dura veramente un lampo. Gli italiani sono disposti a dare fiducia a un partito però non sono disposti ad aspettare troppo affinché le promesse si traducano in realtà».

È più che un'ipotesi la possibilità del primo premier donna. Un traguardo ambito dalla sinistra che potrebbe essere portato a casa dalla destra...
«Sì. Diciamo che c'è tutta una filosofia, un racconto sbagliato del rapporto fra donna e politica come se fosse un qualcosa riguardante solo la sinistra e non, invece, il mondo intero. Effettivamente la Meloni è stata ed è brava e quindi potrebbe andare proprio così. Sulla scia di ciò che avvenne con la Thatcher, anche lei era una donna di destra. Il problema della sinistra, però, non si limita a questo...»

In che senso?
«In questo momento ha un problema di ceto, di classe politica. Purtroppo questa legge elettorale, come la precedente, non semina nuova classe dirigente: nel momento in cui una persona è eletta sostanzialmente senza fare campagna elettorale, ci ritroviamo un meccanismo che molto spesso non premia la selezione politica. E in un certo senso anche la destra ha questo problema. Ammesso che riesca a vincere, FdI sta facendo scouting per individuare una classe dirigente adatta a poter governare».

L'antifascismo contro Meloni e l'antiputinismo contro Salvini tirano ancora? Glielo chiedo perché la sinistra ne fa l'elemento centrale della sua campagna.
«La storia ci insegna che queste campagne non creano consenso a chi le genera. Berlusconi fu accusato di fascismo quando si alleò con Fini: e trionfò. Nel 2019 ci fu una campagna analoga contro Salvini e il suo divenne il primo partito. L'elettorato, insomma, è sempre più libero e senza steccati ideologici. Ragion per cui questi attacchi che guardano al passato hanno sempre meno effetto. E sono figli di una campagna elettorale povera di contenuti e molto dettata dagli slogan».

Lega e Forza Italia tengono botta ma faticano a risalire. È possibile che paghino nelle urne il fatto di essersi sfilati dal governo?
«No, questo no. Perché il problema per la Lega e FI c'era già prima del governo Draghi. O meglio: mentre Forza Italia è un partito che, per quanto in contrazione, ha un suo zoccolo duro - è da anni che oscilla fra il 6 e l'8% e anzi ora non è particolarmente basso -, qualche problema in più si registra per la Lega. Questo perché il Carroccio ha più competitor: ha Fratelli d'Italia, che al Nord sta rosicchiando molto consenso e ha il fronte del Sud, dove sta diminuendo in maniera significativa rispetto ai recenti exploit. In ogni caso penso che alla fine il suo risultato non sarà eccessivamente lontano dalle percentuali del 2018».

Letta punta sulla polarizzazione dello scontro: accentra sul Pd ma così avvantaggia la Meloni. Sbaglio?
«Sbaglia lui! Finora la campagna elettorale non gli sta creando consenso. Che poi la sua è una polarizzazione finta: se sommiamo semplicemente i voti di Azione e M5S già stiamo attorno al 20%. Più un 7% di italiani che votano al di fuori dei partiti normali. Che significa? Che siamo a circa il 27% che non vota né il centrodestra né il centrosinistra. Come fai a fomentare la polarizzazione quando hai un italiano su tre che non vota i due schieramenti? Insomma, questa sua strategia non porta lontano».

Aggiungo: il centrosinistra non ha nemmeno un candidato premier. Il preferito è Mario Draghi. Ancora un "papa straniero"...
«Mi sembra più che altro che il centrosinistra non abbia proprio un candidato premier e che quando gli pongono la domanda rispondono vagamente "dovrebbe essere Draghi". Questo è un grave errore - il peggiore - di strategia e di comunicazione: perché gli elettori sono anche tifosi. Si stringono e vogliono vedere il leader in prima fila: eil fatto di non avere la consapevolezza di chi sarà il premier nel caso di vittoria del centrosinistra demotiva una parte dell'elettorato».

Senza campo largo, scoperto sia al centro che a sinistra. Rischia grosso il leader del Pd.
«Sì, ha due concorrenti più o meno forti. C'è un'area di sinistra che guarda con simpatia al M5S. Poi c'è un'area liberale, progressista, che oggi guarda con simpatia a Calenda. Il Pd ha due competitor: e se questi dovessero riuscire a rosicchiargli 2 punti a testa ciò si tradurrebbe in un problema molto serio per Letta». 

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