Giorgia Meloni premier? Ora lo dice pure Hillary Clinton
«Le donne a destra sono più sopportate dal partito rispetto che a sinistra». Con queste parole Hillary Clinton, la donna alla quale il partito democratico americano sbarrò la strada della Casa Bianca, preferendo spingere alla presidenza il primo nero piuttosto che la prima signora, ha messo a tacere le femministe dell'Italia progressista, dalla Boldrini alla Aspesi. «Una donna premier in Italia sarebbe una rottura con il passato, una buona cosa, poi la giudicheremo dai fatti, ammiravo la Thatcher anche se non la pensavo come lei», ha aggiunto l'ex first lady americana. E alle nostre dem, costrette dal Pd a litigarsi le quote rosa per esistere, e arrivate al punto della negazione di genere pur di fermare la leader di Fdi, sostenendo, senza nessuna argomentazione né prova, che Giorgia non sarebbe donna perché esercita il potere come un uomo, non resta che rosicare e mangiarsi le mani per aver passato la vita a dire che la destra è maschilista mentre gli uomini di sinistra le confinavano nello stanzino delle scope della politica.
GARANZIA, NON PERICOLO - Al di là delle note di colore, che evidenziano l'ennesima figuraccia e il provincialismo partigiano della nostra sinistra, resta da capire cosa sottendono le parole della Clinton, che mai dichiara a caso. La sensazione è che il lavoro di Giorgia, partito anni fa, stia dando risultati. Agli occhi dell'America non conta il video del comizio in Andalusia di inizio estate, rilanciato in Italia come un mantra, nel quale la leader di Fdi, ospite della destra di Vox, ribadiva con veemenza, fino a infervorarsi, di essere la strenua paladina della famiglia tradizionale. Pesano molto di più i viaggi in Usa, la presidenza del Partito dei Conservatori Europei, l'amicizia con la Polonia e le prese di posizione senza equivoci né ripensamenti sulla linea atlantista in merito al conflitto ucraino.
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Dopo lo sdoganamento di Draghi, che al Meeting di Comunione e Liberazione ha detto che l'Italia ce la farà anche se dovesse vincere la destra, e la precisazione del Quirinale, che ha smentito le ricostruzioni giornalistiche che gli attribuivano pregiudiziali negative nell'indicazione di Giorgia come eventuale premier, è arrivato quello della sinistra Usa. Il messaggio che, via Venezia dove la Clinton era ospite del Festival, arriva da Washington è che la leader di Fdi è vista come una garanzia che il fronte occidentale anti-Putin terrà.
Resta ora l'Europa. La Meloni ha incontrato di recente il nostro ambasciatore a Bruxelles, per essere aiutata nell'accreditarsi presso la Commissione e l'Europarlamento. La mappa continentale è variegata, essendo di fatto i Paesi un'unione sì, ma di Stati in concorrenza. Sembra delinearsi un asse con l'Eliseo, perché la leader di Fdi ha bisogno di Macron e viceversa, per costruire un fronte che si possa contrapporre all'Olanda e alla Germania, che non hanno pregiudiziali ma solo interessi differenti. Più semplice il rapporto con la Spagna e gli altri Paesi mediterranei, che saluterebbero l'arrivo della destra italiana al governo come un segnale rassicurante sul tema dell'immigrazione, la possibilità di fare finalmente una politica comune di respingimento. Il punto critico è la richiesta della Meloni di cambiare in parte il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. L'Olanda è pronta a saltare al collo dell'Italia, ma la leader di Fdi è stata abile ad allinearsi con Draghi sul no a un nuovo sforamento del patto di stabilità, con relativo aumento del debito pubblico, ed è stata confortata dal riconoscimento del premier in carica che in effetti, essendo cambiate le condizioni generali dell'economia, alcune correzioni al Pnrr sarebbero opportune.
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RETE DI RELAZIONI - Sono tutte indicazioni di come Giorgia, in costante crescita nei sondaggi da più di un anno, abbia impiegato gli ultimi mesi a lavorare con cura per addolcirsi il percorso in caso di un approdo a Palazzo Chigi. Forse la leader avrebbe gradito addirittura che la legislatura arrivasse a naturale conclusione, per avere più tempo e perché fosse il governo Draghi a gestire gli effetti di una crisi economica, inflattiva e di risorse che è nata con Fdi all'opposizione e con il banchiere regnante tra il plauso generale, in particolare di chi, da Calenda al Pd, dalla Gelmini a Renzi, cerca di appropriarsene in campagna elettorale, intestandosi solo il buono e cercando di scaricare sugli altri i conti da saldare.
La rete nazionale e internazionale della Meloni si infittisce di giorno in giorno. Il futuro dirà quanto è salda la tenuta. Fin da oggi possiamo dire che l'offensiva della sinistra, che puntava tutto sull'antifascismo non ha alcuna presa non solo in Italia, ma neanche all'estero. Gli stranieri sono più lineari di noi e il ragionamento che si fa a Bruxelles e Washington è di disarmante semplicità.
Se la sinistra italiana fosse davvero convinta di quel che afferma, ovverosia che c'è un pericolo di una presa del potere da parte di destre illiberali in Italia, si sarebbe unita per fare fronte comune contro l'oppressore. Invece si sono divisi più che mai e litigano l'un con l'altro. Grillini, democratici, renziani e calendiani, visti oltre confine sono quasi la stessa cosa, avendo dato vita a un governo politico compatto: se ognuno fa la sua corsa significa che nessuno teme di finire al confino in caso di sconfitta elettorale. E naturalmente il discorso vale per tutta la destra, Lega di Salvini inclusa.