Pierpaolo Sileri si confessa: "L'errore più grande del governo". Chi voterà adesso
E così, te ne vai davvero?
«Te l’avevo anticipato due anni fa. A settembre trasloco e porto a Milano la famiglia, ho già scelto le scuole per i bimbi. Saremo vicini di casa. Poi mi auguro che entro ottobre ci sia un nuovo governo, l’Italia non ha molto tempo da perdere, così posso salire anch’io e iniziare a lavorare all’ospedale San Raffaele».
Nessun rimpianto?
«La politica mi piace. Sono stati anche anni entusiasmanti. Entrare in Parlamento ti consente di promuovere battaglie in cui credevi, come quella contro la poca trasparenza che talvolta investe i concorsi universitari, e più in generale l'intero mondo della Sanità, e che oltre a seminare equivoci e pregiudizi, crea sfiducia nel sistema, che pure invece è in grado di formare quelle eccellenze che il mondo ci riconosce. Lottare per costruire un equilibrio intorno al merito è stata la molla che mi ha fatto candidare. Però la mia è stata una scappatella, un tradimento rispetto al mio lavoro vero, quello di chirurgo. Ora è tempo di rientrare in corsia. Vado via per coerenza. E poi, come sai, non bisogna per forza stare in Parlamento per fare politica».
Un'autocandidatura per futuri incarichi che ti consentano di rimanere al servizio delle istituzioni, come tante altre virostar?
«Io non sono né viro né star, andavo in tv a rappresentare il governo, come sottosegretario alla Salute. Per come sono fatto, le istituzioni si possono servire anche facendo il proprio lavoro in ospedale, con coscienza e professionalità. Tutti nel loro piccolo possono servire le istituzioni, anche tu lo stai facendo ora».
Mail telefono non ha suonato da Roma?
«In questi ultimi giorni no; un po' forse perché nessuno vuol lasciare il posto, moltissimo perché ero stato da subito determinato nella mia decisione. Comunque nei mesi scorsi in parecchi mi hanno sondato, per capire se ci avessi ripensato; e naturalmente non solo da Cinquestelle. Se te la devo dire tutta però, dubito che dopo ottobre qualcuno mi cercherà. Sai, come si è visto in questi anni io tendo a seguire la mia strada e a fare quel che ritengo giusto, senza rispondere alle logiche di scuderia. Quanti di quelli che mi vedevano in tv mi ricollegavano a M5S?».
Che tu hai abbandonato...
«Ho seguito Di Maio, in Insieme per il Futuro, perché resto un tifoso del governo Draghi».
Cos' è successo a Cinquestelle, che ha perso il 70% degli elettori in quattro anni e mezzo di governo?
«Non saprei, non sono mai stato nella stanza dei bottoni..».
Un'idea però te la sarai fatta?
«Ha una base irrequieta e tumultuosa, attaccata a battaglie anti-storiche. Il Movimento non ha saputo dialogare con i suoi elettori, spiegare le sue mosse, motivare che erano dovute a un contesto cambiato».
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E poi la variabile impazzita Grillo l'ha ammazzato?
«Non mi far parlare male di Grillo. Ci ho parlato due o tre volte, quasi neppure lo conosco. E comunque c'è di peggio».
Chi, scusa?
«Viriginia Raggi. In questi anni mi ha attaccato a testa bassa senza capire. Sui vaccini si è messa di traverso; e pensare che l'avevo pure votata».
E tra un mese chi voterai?
«Dove batte il mio cuore tu lo sai. Non ho ancora deciso chi votare il 25 settembre. Posso però confessarti che alle Comunali del 2016, prima del ballottaggio, avevo votato per Giorgia Meloni sindaco di Roma».
Il treno dei desideri di Pierpaolo Sileri, cinquant' anni tra tre giorni, chirurgo oncologico con tanto di specializzazione all'Università di Chicago, va decisamente all'incontrario rispetto a quello dei suoi compagni di ventura pentastellati. Loro sono costretti a farle valigie a malincuore, per la doppia tagliola che gli ha imposto Grillo, prima vietando il triplo mandato, poi riducendo di oltre un terzo i parlamentari. Lui avrebbe potuto tornare alla Camera, sedendo a destra, a sinistra e pure al centro, ma ha preferito tornare a se stesso, e prima di ripartire sta svacanzando con famiglia e i due figli piccoli nel suo rifugio nel cuore della Maremma, che però da Milano saranno cinque ore e non più due come da Roma. Ci diamo del "tu" perché, ora è giusto dirlo, ci siamo intesi fin dal primo incontro, nel salotto di Floris, a Di Martedì, e io ne ho spesso approfittato, per avere lumi sulle mosse del governo contro la pandemia, che invero più di una volta mi sono apparse piuttosto oscure. Era il solo con cui potevo parlare senza chiedermi quali interessi politici stesse tutelando o perseguendo.
«Perché la mia ricetta ideale è un esecutivo politico con tanti tecnici» scherza, ribandendo che non tornerà al governo. Mi piace anche ricordare che, quando era ancora sconosciuto, nel febbraio 2020, mentre in Cina infuriava la pandemia, si recò per due volte in quindici giorni a Wuhan. La prima per riportare in patria quella cinquantina di italiani bloccati nella città-prigione. La seconda per salvare Niccolò, lo studente che Pechino non voleva lasciare andare perché aveva la febbre. Il suo capo, l'avvocato del popolo Giuseppe Conte, il fenomeno delle conferenze stampa, l'uomo solo al comando dello sbando, ci impiegò oltre due mesi per farsi vedere a Bergamo e Brescia, visita lampo a fine aprile, alle 2 e alle 4 del mattino. Altra pasta.
Ora me lo puoi dire. Cosa abbiamo sbagliato nella lotta al Covid?
«Ci voleva una gestione al contempo più collegiale e più snella e concentrata, con un nucleo piccolo di alto profilo. Noi l'abbiamo avuta semplicemente verticistica. Il Comitato Tecnico Scientifico, nel quale non figuravano eccellenze mediche, decideva tutto e riferiva il governo applicava, con qualche correzione politica e qualche altra ideologica».
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Tu cosa avresti fatto?
«Non abbiamo coinvolto gente come Remuzzi, Zangrillo, Galli, Mantovani, Bassetti, Burioni, Vaia. Andavano inseriti in una task force del ministero. Invece ci fu una chiusura politica verso le indicazioni della scienza e anche verso il territorio. Avremmo dovuto costruire un nucleo centrale forte e poi arricchirlo con tante braccia costituite da piccole task-force specializzate nei vari settori, dalla rianimazione alla logistica, dall'epidemiologia alla virologia fino alla scuola, e forse ci saremmo risparmiati i banchi a rotelle. Invece non c'è stata capacità, e forse neppure voglia, di fare squadra. Travolti dall'emergenza, alcuni persero la testa. Il governo si mise subito in contrapposizione con le Regioni».
La famosa criminalizzazione della Lombardia?
«Dissi subito che era una stupidaggine, una speculazione politica, e che il Covid avrebbe fatto gli stessi danni in qualsiasi Regione si fosse diffuso; forse anche peggiori. Quando c'è un'emergenza la politica andrebbe messa da parte, come abbiamo provato a fare, per poco, con l'esperienza Draghi. La caccia al colpevole è stata un modo del governo per deresponsabilizzarsi».
Abbiamo capito troppo tardi?
«Io tornai da Wuhan ai primi di febbraio del 2019. Mi pareva di essere entrato in un'altra realtà, una dimensione cinematografica di fantascienza, non avevo mai vissuto nulla di simile. Città spettrale, uomini bardati come astronauti che agivano come robot, silenziosi e decisi, gente portata via, paura e disperazione. Dissi ai miei colleghi di tenersi pronti, che il virus sarebbe arrivato anche da noi, che avevo visto cose che noi umani...».
Non ti ascoltarono quando lo raccontasti?
«L'allora direttore scientifico dell'Istituto Spallanzani, Giuseppe Ippolito, aveva capito le avvisaglie. Ma ai tempi il capo di gabinetto del ministero era Goffredo Zaccardi, un accentratore, ascoltava poco, mi ha lasciato molto in panchina. Buona parte dei problemi che ho avuto con il ministro Speranza penso di doverli a lui; infatti da quando se ne è andato le cose sono migliorate moltissimo. Però devo rivelarti che anche l'Europa ha dormito a lungo, il suo piano pandemico era sotto le attese. Per non parlare dell'Organizzazione Mondiale della Sanità...».
Cosa avremmo dovuto fare?
«Io suggerì immediatamente di acquistare respiratori, perché sarebbe stato l'inferno, e di coinvolgere l'ex ministro della Salute del governo Berlusconi, Ferruccio Fazio, che nel 2009, quando arrivò l'influenza suina, rinforzò gli organici. Una mossa che ancora oggi si è rivelata decisiva per salvare la sanità in Italia». Il governo invece, ancora a febbraio-marzo 2020, regalava mascherine alla Cina, salvo poi comprarle a prezzi triplicati poche settimane dopo da Pechino... «Ti ripeto, meno ideologia e più etica, soprattutto quando scatta un'emergenza. E bisogna avere l'umiltà di bussare alla porta di chi c'è stato prima, per farsi aiutare. Spero che il prossimo governo, qualunque sia quello che uscirà dalle urne, avrà questa forza morale».
A proposito di etica: cosa pensi delle recenti dichiarazioni del segretario del Pd, Enrico Letta, e del suo candidato, Andrea Crisanti, secondo i quali se nella primavera 2020 ci fosse stato al governo il centrodestra anziché l'asse giallorosso i morti sarebbero stati molti di più?
«Ti sembrano dichiarazioni che abbiano un senso? Primo non sono vere, secondo il virus non va buttato in politica, terzo veniamo da un'esperienza di governo di unità nazionale nella quale Lega e Forza Italia hanno votato tutti i provvedimenti in materia di Covid. E lasciami aggiungere che, in materia, anche l'opposizione di Fratelli d'Italia è stata particolarmente responsabile e costruttiva. Io dai banchi del governo ho fatto tesoro di alcuni loro consigli e critiche».
Perché è caduto il governo Draghi?
«Penso che alla fine avesse esaurito la propria spinta».
I numeri però il premier ce li aveva, non è che alla fine gli andava bene farsi mandare via?
«Non credo, Draghi è un servitore dello Stato, sarebbe rimasto fino alla fine per dovere verso le istituzioni. Se ha mollato è perché non si poteva più andare avanti in una situazione di così alta conflittualità. Al governo devi semplificare le cose difficili e fare all'istante quelle semplici. Eravamo invece arrivati al punto che venivano complicate perfino le banalità».
Colpa dei Cinquestelle?
«È partito tutto da lì, non ho capito e mi dispiace. Poi ho l'impressione che sia andata bene un po' a tanti. Però lasciami dire che non ha molto senso sgambettare uno all'ultimo metro. La legislatura a questo punto avrebbe dovuto finire. Avrei capito di più se si fosse andati al voto anticipato prima».
Prima quando?
«Prima della pandemia; o dopo il Conte bis, ma allora forse la situazione era troppo complessa, con il Covid che ancora impazzava».