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Fabrizio Masia: "Ecco qual è il segreto per vincere le elezioni"

Pietro De Leo
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«Siamo ancora all'inizio. Credo che gli italiani, tranne quelli che seguono abitualmente la politica, non stiano prestando ancora molta attenzione alla campagna elettorale. Probabilmente ci sarà un cambio di passo quando si entrerà nel vivo, da fine agosto-inizio settembre in poi».
Fabrizio Masia, ad di EMG, è uno dei professionisti più quotati nel comparto sondaggi. E questa è la fotografia che traccia con Libero sull'interesse collettivo riguardo alla corsa alle urne, in giorni di piena stagione vacanziera. Masia, però, sa porsi anche assai bene dall'altro lato del campo, ossia quello di chi gioca la partita elettorale. È già ordinabile nelle piattaforme online e da fine mese sarà in libreria "Il candidato senza errori" (Bookness), volume in cui Masia spiega come si può affrontare, in modo efficace, la sfida con le urne.

Dottor Masia, qual è il cuore del libro?
«L'obiettivo è dare indicazioni affinché si utilizzino alcuni strumenti, tra cui i sondaggi, per evitare che vengano commesse una serie di gaffes e far sì che si definisca una strategia elettorale. Ottimizzando il proprio "personal branding", ossia il proprio status di fronte all'opinione pubblica, per massimizzare il consenso nel momento in cui si affrontano la stampa, i media, gli eventi».

Da dove si parte?
«Da tre elementi strategici. Le "tre t". Temi, target e territorio».

Spieghiamo.
«Sul piano dei temi significa passare da elementi valoriali ad elementi programmatici, che siano comprensibili nell'immediato. Sui target, è necessario non cercare di parlare trasversalmente a tutti, ma di definire i destinatari del messaggio. Poi ci sono i territori: capire dove già si può vincere e invece quali sono quelli "Ohio", ossia contendibili. A questo proposito è fondamentale l'esperienza di Stefano Bonaccini, di cui ho seguito la campagna elettorale. Avevamo individuato alcuni Comuni in bilico dove rafforzare la presenza. Questa strategia poi ha portato alla riconferma quando in molti davano certa la vittoria di Borgonzoni».

 

 


L'errore più comune che un candidato può compiere in campagna elettorale?
«Fidarsi solo del proprio naso e non costruire una strategia lungo la quale definire tutte le operazioni tattiche. Tradotto: fare solo il politico e non il comunicatore».

 

 

 

Stando alla sua esperienza, qual è la figura che si avvicina di più all'idea di "candidato senza errori"?
«Devo dire che Bonaccini è stato molto bravo a credere che il cambio di immagine fosse uno strumento in grado di dargli ulteriore credibilità. Nello scenario di strettissima attualità, poi, Giorgia Meloni sta facendo un ottimo lavoro. Si sta dimostrando coerente anche in "senso orizzontale", ossia sulle varie piattaforme nelle quali può comunicare».

Andiamo nel cuore dei messaggi di questa campagna elettorale. Il Pd pare non si sganci dalla linea dell'allarme contro "le destre". Può essere efficace?
«È abbastanza sterile. È un messaggio conservativo e non di allargamento dell'elettorato. Le campagne elettorali costruite per lo più con una "pars destruens" credo abbiano un po' stancato. Va bene la denuncia di ciò che si ritiene dannoso, ma oggi la gente vuol più che mai risposte per i problemi della propria quotidianità. Sul piano della sicurezza, dell'economia, del lavoro. Peraltro, i flussi da destra a sinistra sono molto deboli. Sono più importanti quelli che vanno da destra al centro e viceversa, oppure da sinistra al centro, e viceversa. Comunque, sospenderei il giudizio, ci sono ancora diverse settimane di campagna elettorale. In ogni caso, se stiamo ai numeri, mi pare difficile che un centrosinistra così configurato, ossia senza l'alleanza con il Movimento 5 stelle, e con la corsa autonoma di Renzi e Calenda nel Terzo Polo, possa avere l'ambizione di sfondare. Requisito dovrebbe essere un Pd attorno al 30%, e mi pare molto complicato».

Torniamo al suo quadro con i flussi elettorali, che vede il centro come cardine. Il Terzo Polo di Calenda e Renzi che potenziale ha?
«Attualmente, nei sondaggi si attesta sul 6-7%, ma potrebbe anche arrivare alla doppia cifra. Parliamo di uno spazio potenzialmente importante, su cui in totale gravita circa il 15-20% dei consensi. Ma lì insistono anche Forza Italia e la lista dei moderati di centrodestra».

Tuttavia Calenda non è stato fermo nella sua posizione. Partito dal centro è andato a sinistra e poi è tornato. Questo non si paga in termini elettorali?
«Dipende da come la cosa viene raccontata agli elettori, ora bisognerà capire se Calenda sarà in grado di spiegarla. Le campagne elettorali servono anche a questo».


Altra novità di questa campagna elettorale, Giuseppe Conte. In base ai numeri che avete, una forza a sinistra del Pd può funzionare?
«Secondo me, nell'ultimo periodo Conte ne ha sbagliate davvero poche. Rimanendo con il Pd sarebbe andato sotto il 10%. Nella corsa autonoma, potrà investire sulla propria proposta politica, in una piattaforma che comprenda i contenuti oggetto del suo confronto-scontro con Draghi. Peraltro, è diventato un buonissimo comunicatore».

Capitolo centrodestra. Quando si è molto avanti nei sondaggi, che rischi si corrono?
«Si corre il rischio di non dire le cose in modo corretto, o trasmettere tensioni tra alleati. Ecco, la compattezza in questo momento è il valore fondamentale. Ogni partito, chiaramente, può e deve portare avanti delle istanze proprie, ma tutte devono essere coerenti, in sinergia tra loro. Altrimenti l'elettore se ne accorge». 

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