Partito democratico, Stefano Bonaccini già pensa di far fuori Enrico Letta
Sinora, a Enrico Letta è bastato stare fermo per avere tutto. Quando è diventato segretario, il Pd era già al governo con Mario Draghi. Nella partita per il Quirinale, la rielezione di Sergio Mattarella gliel'hanno apparecchiata i leader del centrodestra, coi loro errori. Le divisioni e le candidature mediocri degli avversari hanno poi consentito alla sinistra di vincere le comunali di Roma, Milano, Napoli e Verona, permettendo a Letta di annunciare l'inizio della riscossa. Il vento a favore gli ha garantito una lunga tregua interna, durante la quale nessuna corrente del Pd - nemmeno ciò che resta di Base riformista, l'area "liberal" degli ex renziani - ha polemizzato davvero col segretario. Ora, però, la sua fortuna appare agli sgoccioli. Di certo è finita la tregua, e a romperla è stato il personaggio più atteso: quello Stefano Bonaccini, «riformista» e «amico» dichiarato di Matteo Renzi, che era già pronto a succedere a Nicola Zingaretti nel marzo del 2021.
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LE SIMULAZIONI E LE LISTE - Non è un caso che la scossa sia arrivata tra la pubblicazione delle simulazioni sull'esito delle elezioni e l'annuncio delle liste dei candidati. La prima ha certificato che le scelte di Letta stanno portando il partito a schiantarsi. Leggere lo studio dell'Istituto Cattaneo che attribuisce al Pd e ai suoi pochi alleati 51 senatori (su 200) e 107 deputati (su 400) ha tolto le ultime illusioni a chi sperava che fosse possibile, almeno a palazzo Madama, evitare la vittoria del centrodestra, accreditato invece di 127 senatori e 245 deputati. E il modo in cui Letta sta compilando le liste, le «fucilazioni sommarie» (così le chiamano nel Pd) organizzate per i parlamentari non allineati e i favoritismi riservati ai suoi protetti, hanno fatto capire che questo è il momento di preparare il terreno per il congresso che si terrà dopo le elezioni e per la successione a Letta. Anche per potergli dire, se il risultato rispecchierà le previsioni più nere: ti avevamo avvisato che stavi sbagliando. Così, mentre in pubblico assicura che «Letta sarà il mio segretario anche il 26 settembre», in privato Bonaccini ha avuto più di un vivace scambio di parole col segretario. In quello più acceso, raccontano gli uomini vicini al governatore, gli ha detto «non stai rispettando le quote che avevamo previsto, stai facendo di testa tua, come se avessimo fatto il congresso, che proprio tu non hai voluto fare».
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LISTE ELETTORALI - Il riferimento è alle liste elettorali che Letta sta compilando chiuso nel bunker. Il congresso avrebbe permesso di valutare i pesi delle correnti e trasferire questi rapporti di forza nelle liste; quando Letta disse che non avrebbe voluto farlo prima delle elezioni, fu stretto un accordo per cui si sarebbero replicate le vecchie quote. Impegno che ora, dalle notizie che escono dal suo fortino, non ha intenzione di rispettare. Si sa già che nel listino proporzionale, unico terreno sicuro per i dem, ci sarà una presenza esorbitante dei candidati vicini al segretario, e che gli oppositori interni o non saranno ricandidati o saranno mandati al massacro nei collegi uninominali dove la vittoria del centrodestra è scontata. E nelle intenzioni di Letta, l'Emilia-Romagna, che conta 19 seggi più o meno garantiti tra Camera e Senato, dovrebbe farsi carico di alcuni «paracadutati», i suoi protetti provenienti da altre regioni, come il triestino Gianni Cuperlo: donazioni di sangue che il governatore non ha intenzione di fare, e lo dice pubblicamente.
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IL «PERICOLO FASCISTA» - Sempre in pubblico, il governatore contesta la strategia di schiacciarsi a sinistra e preferire i Cinque Stelle a Italia viva. Rispondendo al politologo Carlo Galli, ma in realtà parlando al segretario, Bonaccini contrappone il «modello emiliano» di alleanza progressista, che sa «parlare largo, conquistando voti anche da elettori di altri schieramenti», all'arroccamento a sinistra, sulla sponda di Nicola Fratoianni. «Non ho nostalgia del Pds o dei Ds», dice il presidente dell'Emilia-Romagna, aggiungendo di volere «un Pd e un centrosinistra mai contro qualcuno, ma per qualcosa». L'opposto dell'alleanza anti-Meloni che Letta ha provato ad allestire con scarso successo, insomma. Concetto che ha ribadito ieri in un tweet rivolto a Guido Crosetto, il quale aveva appena elogiato le qualità di Giorgia Meloni: «Mai nemico», scrive Bonaccini, «né agiterei il pericolo fascista, ma vostro fiero avversario». Coordinate da dare al Pd quando si cercherà qualcuno capace d'indicare strade nuove e ricostruire dalle macerie.