Carlo Calenda punito dai sondaggi: Azione non toglie voti a Berlusconi, le cifre
Non c'entra più la politica (ammesso sia mai stata parte in causa), c'entra solo la psicanalisi. Individuale e di massa. Siamo in presenza di un fenomeno inedito, un desiderio personale che si fa allucinazione collettiva, detta i tempi e i modi del racconto, il quale finisce per avvalorare il desiderio medesimo. Un circolo vizioso che monopolizza le prime pagine dei giornali, e che si può sintetizzare come segue. C'è un signore, un leader di partit(in)o, che secondo l'ultima Supermedia dei sondaggi nazionali diffusa ieri da Agi e YouTrend raccatterebbe il 5% dei voti degli italiani. Peraltro nemmeno da solo, ma in coabitazione con un'altra sigla, +Europa, grazie a cui è esentato dalla raccolta delle firme per presentare la lista (un lavoraccio già di base, figuriamoci sotto l'ombrellone).
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VANAGLORIA
Lo stesso signore, però (ma quasi nessuno focalizza l'avversativa), si comporta come se detenesse il 25%. Si autonomina "front-runner" della coalizione al pari di Enrico Letta (segretario di un partito che per Supermedia è al 22,8%), dà dell'«inesperta non pronta a governare» a Giorgia Meloni (che fa politica da qualche lustro prima di lui ed è attualmente presidente dei Conservatori Europei), dichiara in un surreale moto di umiltà «se Draghi non è disponibile a fare il premier mi candido io». Il signore, ovviamente, è Carlo Calenda, ma nella sua testa deve essere Alcide De Gasperi, o qualcosa del genere (sempre che non viva il paragone come una diminutio, nel caso ci scusiamo). Il punto, però, non è nemmeno lui, ognuno ha diritto all'autostima, anche quando così digiuna di freni inibitori da sfociare nella vanagloria.
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La bizzarria è quel mondo circostante che, di fronte all'affabulatore pariolino che si mette in testa il cappello napoleonico, annuisce e lo chiama "Imperatore". A cominciare dal suddetto Letta, autore dell'accordo politico più masochista della storia: la spartizione di seggi 70/30 con un soggetto che ancora ieri è stato pesato circa un quinto del Pd. «Farà da magnete per i voti della destra moderata», aveva assicurato il nipote di Gianni. Qualcosa non deve funzionare nel campo attrattivo di Azione, visto che i dati successivi al patto storico che avrebbe dovuto «riaprire totalmente la partita» (Bonaparte, pardon, Calenda dixit) fotografano una Forza Italia sempre stabile all'8% e un centrodestra sempre in vantaggio di 13 punti.
Lo spostatore di equilibri della politica italiana al momento non sposta alcunché, anzi per ora ha contrariato una fetta di suoi estimatori liberali inspiegabilmente non entusiasti della confluenza nel partito della patrimoniale, e innescato una crisi d'isteria a sinistra del Pd: non satura il suo elettorato potenziale, e fa perdere elettorato altrui. Eppure, da giorni costui è la prima notizia della cronaca politica, è l'argomento dominante nei talk show (dove è già nata una nuova categoria professionale, l'esegeta del "calendismo", la prima ideologia che poggia sull'etere e non su un partito di massa), è il primo attore della ridda mediatico-elettorale. Mister 5% nella realtà, nella sua rappresentazione diventa colui attorno a cui girano i destini del Paese. Sarebbe come dire che nella Prima Repubblica le carte le dava il Partito Repubblicano, con la Democrazia Cristiana relegata al ruolo di spalla. Uno strafalcione storico che nella cronaca diventa illusione indotta, perché agli illusionisti, al mainstream che la rappresentazione la apparecchia, interessa che l'inverosimile, gradualmente, editoriale dopo editoriale, post dopo post, lancio di agenzia dopo lancio di agenzia, diventi ovvietà. Che Calenda, davvero, diventi Napoleone.
COI GENERALI
Lui intanto, con la mano nel panciotto, twitta dal suo Ego, che è diventato la nostra quotidianità: «Questo sarà anche un confronto di leadership. Letta-Calenda vs Meloni-Salvini. Mi risulta difficile pensare che un moderato possa scegliere i secondi». Guido Crosetto gli fa moderatamente ed educatamente notare: «Penso che la sfida percepita sarà Letta-Meloni». Ma non c'è niente da fare, l'altro è già altrove, forse in riunione coi generali.