Umberto Bossi "aspetta una chiamata": il tormento del Senatùr, gira una strana voce
Ieri mattina è circolata una notizia che ha invecchiato di colpo un sacco di gente, compreso chi scrive queste note. Il Quotidiano nazionale in prima pagina, con l'autorevole firma di Michele Brambilla, ha titolato: "Se il Senatùr non si ricandida". Non inganni il "se", che è l'equivalente della rete per gli acrobati che provano il salto mortale all'indietro sul trapezio. Tutti infatti abbiamo capito che si trattava di uno scoop, uguale a: Bossi-a-casa. Tanto più che l'articolo continuava all'interno preceduto da una sfacciata certezza "La rinuncia del Senatùr".
Abbiamo appurato che non è vero. Bossi non rinuncia a nulla. Lui è la politica: non ci si separa da sé stessi. Di più: lui è l'istituzione, non si rottama la luce. Ma non manderà mai un biglietto per dire: lo voglio. Da leghista sa com' è il movimento da lui fondato: un partito leninista. Il secessionismo, e addirittura il nordismo, sono stati ammainati da Matteo Salvini. Ma il leninismo-bossiano no. Figuriamoci se l'Umberto lo mette in questione. Con le scelte del successore lui è d'accordo più no che sì. Mai però squarterà la Lega, perché gliene spetta un pezzo, come la madre sciagurata al cospetto di Salomone. La lascia in braccio al segretario pro tempore, senza servilismi, senza pagare alcun prezzo per essere confermato: non sarebbe il fuoriclasse purosangue Bossi, ma un bossino ronzino. Il segretario sceglie le liste, è un dogma. Bossi non chiederà niente. Sarà, come cinque anni fa, Matteo ad alzare il telefono: "Umberto, ci sei? Ci servi!".
ESSENZA GAGLIARDA Ed è così che Michele Brambilla, sempre eccellente, uno scoop l'ha fatto davvero, quasi per distrazione. Ha resuscitato la nostalgia di Bossi. Ha fatto balzare mezzo mondo, leghista e no, a dire: guai, senza di lui ci impoveriamo peggio che con l'inflazione. Sarebbe l'Italia intera a perdere gocce preziose della sua essenza gagliarda, lasciandosi imbevere dallo spirito letargico di chi pensa solo a riempire la sua cambusa in attesa che passi l'inverno. Non passerà stavolta. Occorre qualcosa che non c'è e che spazzi le nubi, specie dai cuori dal battito da bradipi. Solo gente della schiatta di questo varesino può far sperare in un soffio di primavera, che è una specialità dei vecchi saggi. E di gazzelle intelligenti come Giorgia Meloni, e cavalli da tiro infaticabili come Matteo Salvini. Basta così. Sto scivolando nella prosa da Istituto Luce praticata da Francesco Merlo e Marco Travaglio. Lo faccio solo per tirare la volata a Umberto. Impossibile concepire Bossi senza il Senato, ma soprattutto il Senato, o la Camera, senza Bossi sarebbero foreste pietrificate. Bossi è un corpo rotto ma un'anima fiorita. Salvini ha fatto scrivere un comunicato perentorio. Non poteva smentire i presunti desideri di Bossi esternati da Brambilla senza neppure ascoltarlo. Ma forse l'ha fatto proprio per indurre il Capitano a diffondere tramite Ansa il proprio pensiero: «Non si sta ancora parlando di nomi e candidature. Se Umberto Bossi volesse, un posto in lista per lui ci sarà sempre. È grazie a Umberto se la Lega è nata e tutti gli dobbiamo riconoscenza». Così fonti della Lega. Le fonti in realtà è la fonte unica ammessa dal leninismo: Lenin stesso.
Un giorno, verso i cent' anni, morirà anche l'Umberto. E i sopravvissuti dovranno accontentarsi delle rievocazioni e di un monumento. Ma finché avrà un grammo di forza Bossi cercherà qualcuno che lo accompagni in auto da Gemonio a Roma. Con la carrozzella semovente, sottobraccio a degli amici, o alla fedelissima assistente e scrittrice Nicoletta Maggi, arriverà in aula, dopo una Coca Cola al bar Giolitti, si accomoderà come Toro Seduto ma tranquillo mai. La fatica del parlare, le parole che escono lente, nasceranno come sempre da una visione del mondo, da uno sguardo alle correnti impetuose della storia. Di certo lui non molla, figuriamoci. Ma neppure pretenderà o chiederà la candidatura, Siamo di quelli che amano non tanto la politica, quanto chi ha dato e dà la vita per un ideale. Questa non è o non dovrebbe essere una rarità. Bersani che rinuncia è uno così. Ma non possiamo chiudere nella stanza dei salmoni affumicati chi ha avuto e conserva memoria della genialità di inventare strade nuove. Umberto Bossi, 80 anni, è stato il primo politico in Europa a uscire dai recinti dei partiti ideologici, senza in nessun caso usare la violenza.
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UTOPIA Il primo a lanciare un'utopia che non aveva bisogno di fucili ma di ampolle di acqua molto ingenue, ma capaci di trasformare in rito senza sangue qualcosa di rivoluzionario. Così ha insegnato a sognare un'intera generazione di lombardi e di padani. Ora persino di italiani, sia pure sotto specie salviniana. Dovrebbe avere, se esistesse, il Nobel per la politica. Che giornata è stata ieri. Avevamo digerito con qualche amarezza la notizia di Pierluigi Bersani che, splendido settantenne, ha annunciato di aver rinunziato a smacchiare il giaguaro: non si candida più. E ha consigliato a tutti i coetanei di fare altrettanto. Il buon senso non gli dà torto. Un sano pensionamento, accompagnato da un certo rimpianto anche da parte degli avversari è giovevole per la salute e la reputazione di chi si ritira in umiltà ma anche per l'immagine della politica, permettendo un innesto di gioventù. Oddio, ho scritto "gioventù", addirittura "innesto di gioventù". Non c'è nulla di più detestabile dei criteri di selezione fissati non sulla base delle capacità ma dell'età. Innestare un giovane cretino? Silvio Berlusconi dopo aver anticipato la sua candidatura al Senato, adesso sostiene di non aver ancora deciso. Ma perché lasciare? A 85 anni ancora giaguareggia, mentre l'assai più giovane comunista che aveva preso come impegno della vita quello di piallarne le macchie ha appeso il suo famoso tacchino al chiodo. C'è chi non se ne deve andare. Si pensionano quelli bravi ma normali, ma io uno che ha bloccato la"gioiosa macchina da guerra" progressista del 1994 mettendole zucchero nel motore, meriterebbe, siccome abbiamo già dato il Nobel a Bossi, l'Oscar alla carriera. Non lo lascerei andare a Maracaibo o in qualcuna delle sue isole caraibiche.