La sinistra fa la festa all'Unità? Arriva il fallimento: tempismo imperfetto
L'Unità era come quell'anziano di paese che non vedevamo da tempo: «Ma che fine ha fatto?». Da ieri hanno chiamato le pompe funebri per la sepoltura. Il Pd fa le feste, ma il tribunale fallimentare di Roma - apprende Libero - ha fatto la festa vera e propria al giornale che veniva venduto con orgoglio militante anche nelle piazze delle città. Fine. The end.
Il ricorso degli avvocati contro il fallimento della testata è stato respinto. Non c'è la copertura economica soddisfacente; il che, in tempi di campagna elettorale in cui si chiedono proprio le coperture ad ogni proposta del centrodestra, sembra una sottile vendetta della storia. È stato un giornale nemico, l'Unità, e nei tempi belli - l'ultimo direttore di grido "politico" fu Walter Veltroni - chi stava in Parlamento o nei luoghi dell'economia doveva averlo nella mazzetta dei giornali. Perché, anche se di parte e di quella parte, faceva opinione.
Fondata da Antonio Gramsci nel 1924, l'Unità ha attraversato vicissitudini davvero enormi. Tempi belli e tempi grami si sono attraversati fino alla chiusura, figlia di gestioni economiche dissennate. Si pretendeva troppo da quello che era un giornale di partito, di area, chiamatela come volete.
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SCOOP BUFALA - Ogni tanto una gaffe (a chi scrive capitò di leggere persino del proprio genitore definito torturatore di ebrei all'età di dodici anni...) e scoop bufala come il memoriale sul caso Cirillo, l'assessore regionale campano rapito dalle Brigate rosse negli anni '80. Una sua cronista fu arrestata e licenziata, anche se poi, tempo dopo, assolta dall'accusa di falso.
Nel 1988, direzione D'Alema se la nostra memoria non ci inganna, sparò in prima pagina un titolo terribile: «De Mita si è arricchito con il terremoto» dell'Irpinia. Finì a querele in tribunale.
Gli ultimi tentativi di rianimare una testata che probabilmente non aveva più nulla da offrire ai lettori hanno visto cimentarsi diversi personaggi, ma nessuno ce l'ha fatta. Probabilmente troppi dipendenti hanno impennato i costi, "dal partito" si erano moltiplicate all'inverosimile le "segnalazioni" da soddisfare. «Quel compagno scrive bene». E ora quella storia - che è costata quattrini in proprio anche a Concita De Gregorio sotto le macerie di tantissime querele arrivatele a casa - finisce per decisione del tribunale fallimentare di Roma. Mette comunque tristezza apprendere un tramonto così mesto, mentre Letta e compagnia ne usano il nome alle loro "feste": quasi un malaugurio.
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I RIVALI DEL MANIFESTO - Chi non si è finora arresa è stata una costola dell’Unità, nata da una “scissione” giornalistica da quel quotidiano: Il Manifesto, che continua la sua missione spericolata da giornale “comunista”. Racconta quella storia in quattro righe Wikipedia: «Nel 1969 i membri del comitato centrale del Pci Lucio Magri, Luigi Pintor e Rossana Rossanda sono espulsi dal partito e nel 1971 trasformano in quotidiano il mensile Il manifesto: l’Unità in un suo articolo pone polemicamente l’interrogativo “Chi vi paga?”».
L’ultimo a provarci seriamente, nella rifondazione soprattutto economica dell’Unità, è stato il costruttore Massimo Pessina, quando Matteo Renzi era ai vertici del Partito democratico e del governo. Ma nessuno poteva avere la forza di risanare i conti di un giornale davvero troppo indebitato. Da ieri, nessuno potrà più provarci. Perché col fallimento davvero si conclude un’epoca.
Noi non festeggiamo, anche se su quel giornale nella nostra vita abbiamo letto montagne di bugie. Ma senza credibilità, l’informazione poi la paga, anche se di parte. E Pantalone ne ha cacciati molti di quattrini per l’Unità. 125 milioni di euro di debiti con le banche creditrici e grazie ad una legge di Prodi (che introdusse la garanzia statale sulle esposizioni debitorie dei giornali di partito) ben 107 versati dallo Stato. Che cercò di rivalersi sui beni immobiliari del Partito democratico. Senza alcun successo, ovviamente. Il primo agosto 2014 cessarono le pubblicazioni del quotidiano. A fine luglio 2022le esequie.Mancola pagina Facebook ha trovato qualcuno che la aggiornasse, ferma al maggio 2021, con un titolone sugli italiani morti sul lavoro. Premonitore, in fondo.