Calenda, Carfagna e Toti, ecco quanto valgono alle urne: verso il voto, una esplosiva verità
Meglio male accompagnati che soli. È così che deve pensarla Enrico Letta, intento com' è a rimodellare il suo Partito democratico orfano dei grillini in qualcosa che potremmo definire centri-sinistre; al plurale: da una parte gli ex di Leu innestati nel tronco dem e sul lato destro una miriade ancora pulviscolare di fuoriusciti da ogni dove. Non esiste un baricentro unico ma una prateria nella quale scorrazzano i tanti o troppi centrini alle prese con la necessità di farsi grandi e federarsi o divorarsi l'un l'altro in vista del sabba elettorale del 25 settembre. Ogni sigla è la personificazione di un ego spesso traboccante; ogni ego è anche una storia da raccontare, come quella dell'ex berlusconiano Renato Brunetta che ieri da Lucia Annunziata su Raitre ha descritto le lancinanti angherie patite per via della sua corporatura ("Mi dicono nano, fa male... è una vita che vengo violentato"). Trattasi di vicende umane e politiche tutte più o meno accomunate da un paio di tratti: l'essere figli d'una scissione e dunque del risentimento e il voler mantenere la titolarità dell'agenda Draghi malgrado la sua sopraggiunta sconfessione parlamentare. Si presentano come moderati in lotta contro la svolta sovran-populista del centrodestra, a guardarli bene sembrano smoderatamente spaesati e ancora poco concludenti. Ma passiamoli in rassegna.
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Renzi Matteo, "Bischero". Senza dubbio alcuno è il più lungimirante e scaltro, ma nemmeno lui si aspettava l'accelerazione quantica del dopo Draghi. Dopo aver impagliato Matteo Salvini (Papeete 2019) e Giuseppe Conte (Palazzo Chigi 2021), adesso corre il rischio di finire appeso pure lui al muro della foresteria di Palazzo. Motivo: il suo ex partito, il Pd, minaccia di non allearsi con Italia Viva nel caravanserraglio anti centrodestra che verrà, se verrà. Dopo aver manovrato in Parlamento da campione del mondo nella legislatura appena disciolta, è chiamato all'arduo compito d'inventarsi un'altra bischerata delle sue per stupirci come in passato.
Calenda Carlo, Competente. Numero primo quanto a stazza e carattere e preparazione, già protagonista della splendida cavalcata donchisciottesca per il Campidoglio, fondatore di Azione e ideatore del Fronte repubblicano anti destre, ha il pregio e il difetto di voler far tutto da sé: chi mi ama mi segua chi non mi ama mi segua lo stesso purché non sia dei Cinque stelle o un ex (tipo di Maio) ovvero alleato con loro (tipo il Pd in versione pre crisi e il Pd negli enti locali) oppure desideroso di fare ombra al guerriero solitario che divide il mondo in Calenda e cialtroni. Che fatica eh. Sarebbe di suo un magnifico dirigente per un centrodestra avanzato, me se glielo dici ti "corca co' le mano" (pur essendo un coltivatissimo pariolino).
Toti Giovanni, Governatore. Degna prosapia berlusconiana allevata ai piani nobili di Mediaset con gradi da direttore e velleità di delfinato, presiede da due legislature la Regione Liguria con i voti dei puzzoni dai quali ha appena preso congedo con il suo Noi al centro. Essendo un bravo amministratore locale, la sua dimensione è il civismo di governo. Ha litigato con il partner Luigi Brugnaro, esuberante sindaco di Venezia, ama ancora le idee berlusconiane ma non ha superato l'ombra del parricidio mancato, va a caccia di farfalle moderate con cui ripopolare il centro immaginario di rito draghiano. A senso, almeno una dovrebbe trovarla in Gelmini e l'altra in Brunetta. Chissà.
Gelmini Mariastella e Brunetta Renato, Ministri inconsolabili. Più draghiani di Draghi, più offesi che attesi alle urne, più bravi che compresi dal popolo. Lei è stata stella del berlusconismo di potere, scalzata dal feudo lombardo e vilipesa dalla concorrenza di Lucia Ronzulli, nell'esecutivo del sommo banchiere ha trovato un luogo di ristoro dalle delusioni politiche domestiche. Ci si chiede dove troverà domicilio o se finirà per costruirsi una capanna con l'altro fuoriuscito da Forza Italia. Lui è Brunetta, vezzeggiativo d'eccellenza, spigoloso economista dall'imprevedibile bile nera. Restano forse in attesa del ricongiungimento con la più scintillante ma indecisa Mara Carfagna, per riformare con lei la delegazione ministeriale azzurra e metterla al servizio di un'idea riformista. Fossimo in loro citofoneremmo a Calenda, malgrado i pericoli psicofisici che ciò comporta. Intanto Brunetta si produce in appelli per un'alleanza che vada da Roberto Speranza a sé medesimo, che è un po' come dire (jovanottianamente parlando) da Che Guevara a Madre Teresa...
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Di Maio Luigi, Scissionista. Dai meet-up grillini a Insieme per il futuro, dal 2018 a oggi il pranzo e la cenali ha accoppiati con inattesa destrezza e insperata capacità di crescita individuale. Ha il merito di aver umiliato Conte e svuotato di senso il Movimento, zitto zitto, dacché gliene hanno sottratto la guida. Le elezioni anticipate sono però un'improvvisa, "tragica pagina nera" personale che lui ovviamente proietta su scala nazionale.
Non è pronto alla sfida perché si stava ancora rifacendo le ossa e una vita sotto la benevola ala draghiana. Il sorriso estatico con il quale ammirava il suo premier loquente mentre andava in scena il suicidio collettivo della coda di legislatura potrebbe rimanergli cucito in faccia come un'emiparesi politica definitiva. Ma in fondo è un bravo guaglione e un posto al Sole lo troverà.
Letta Enrico, Sereno. E' il vecchieggiante ragazzo fortunato costretto a rigettarsi nella mischia dall'alto della burocrazia di carriera della scuola andreattiana - da Beniamino Andreatta: googlate, o giovani, e capirete bene - che l'aveva fatto premier e poi l'ha paracadutato alla segreteria del Pd sottraendolo alle cattedre di Parigi. Ma non è colpa sua, sono i predecessori, da Nicola Zingaretti a Goffredo Bettini con il resto della dirigenza stracittadina post dalemiana, ad averlo inchiodato in un Campo largo all'amatriciana divorato dai roghi grillini. Ora il nipote d'arte che ama Rocky e Joe Condor è costretto a resuscitare in fretta e furia il partito a vocazione maggioritaria concepito Da Walter Veltroni e realizzato dal suo sicario (Renzi) ripittandolo con la vernice del draghismo per dirigerlo al centro, dopo aver straparlato per mesi di ius scholae e cannabis libera. Correrà a cercare aiuto dalle parti di Romano Prodi per un corso accelerato di equilibrismo. Ma più che un Ulivo 2.0 rischia di rimettere in piedi il Carosello.
Tabacci Bruno, Immortale. Fate la somma algebrica delle biografie sopra citate e non riuscirete ad assemblare metà della sua vetusta esperienza. Se solo avesse mezzo secolo di meno, se li mangerebbe uno per uno, fonderebbe gli "Scappati per Tabacci" e prenderebbe il 10 per cento.
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