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Parlamento, scatta la rissa sui collegi: cosa sta succedendo nel centrodestra

Salvatore Dama
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Il centrodestra ha i numeri per asfaltarli tutti. Sulla carta. Perché poi da qui al 25 settembre la strada è lastricata di insidie, litigi, spartizioni di collegi, che potrebbero complicare le cose. C'è chi sta peggio. E molto. Per esempio Partito democratico e Movimento 5 Stelle. Saltato il progetto del campo largo, per l'inaffidabilità dei grillini, ora i due partiti raccolgono mestamente i cocci. I dem devono inventarsi un'altra coalizione. M5S tornano all'isolamento delle origini. Stavolta, però, perché nessuno li vuole. E poi c'è la nemesi. Giuseppe Conte e i suoi saranno ulteriormente decimati dal taglio dei parlamentari che essi stessi si sono intestati.

Il prossimo Parlamento avrà 400 deputati e 200 senatori (erano 630 e 316). Secondo le stime già fatte con i sondaggi alla mano, i pentastellati scenderanno da 339 eletti (2018) a 50: un'ecatombe. In generale tutti i partiti saranno destinati a una cura dimagrante. È anche per questo che i leader non hanno versato lacrime per gli ultimi addii in ordine di tempo (Di Maio, Gelmini, Brunetta).

 

 

La Lega dovrebbe calare da 124 a 81 deputati; Forza Italia da 106 a 52; il Pd da 112 a 77. Tutti a dieta tranne uno: Fratelli d'Italia. Che, al netto del taglio dei parlamentari, secondo le prime proiezioni finirà per triplicare i deputati (da 31 a 107) e moltiplicare i senatori (da 16 a 53).

La penuria porterà un alto tasso di litigiosità tra dirigenti e correnti per spartirsi i posti migliori rimasti. Il tutto in una situazione assolutamente inedita: non era mai successo di compilare le liste a Ferragosto, con l'ascella pezzata dal caldo africano.

LE QUOTE - Anche i ricchi (di voti) piangono. Perché il Rosatellum assegna il 37% dei seggi con il sistema maggioritario e questi collegi andranno spartiti con la coalizione. Un problema che riguarda soprattutto il centrodestra. Il criterio non è ancora stato deciso. Lega e Forza Italia vorrebbero una divisione equa: 33-33-33. Fratelli d'Italia, ovviamente, non ci sta. E chiede che i candidati del riparto uninominale siano distribuiti come nel 2018, facendo valere una media ponderata di sondaggi e risultati delle ultime amministrative.

Numeri che chiaramente avvantaggiano il partito di Giorgia Meloni. L'attribuzione dei collegi non è secondaria. Secondo le stime che girano, il centrodestra è in predicato di fare cappotto. La coalizione, dal momento che è saltato il patto Pd-5s, prevarrebbe ovunque, tranne che in alcune province della Toscana, dell'Umbria, dell'Emilia Romagna.

 

 

SINISTRA IN CRISI - E veniamo ai democratici. Enrico Letta ha promesso gli "occhi della tigre", ma il 25 settembre rischiano di tramutarsi nelle fusa di un gattino. Saltato il partner su cui il segretario aveva investito negli ultimi due anni, chi rimane? Certo, un po' di sinistra-sinistra ed ecologisti. Ma non spostano l'ago della bilancia. Matteo Renzi? C'è una corrente di pensiero tra i dem per cui Italia viva farebbe perdere voti al Pd, invece aggiungerli. C'è Carlo Calenda, ma l'ex ministro sembra intenzionato ad andare per conto proprio. E poi c'è quel magma che è stato battezzato "Area Draghi". Dove insistono Luigi Di Maio, i fuoriusciti da Forza Italia, Giovanni Toti e vari altri. Sulla carta l'idea è quella di fare un listone unico centrista, spinto dalla suggestione che al centro ci siano davvero voti contendibili (magari da sfilare a Fi).

Ma le ultime elezioni non dicono questo. Da 10 anni l'elettorato italiano si è polarizzato. E poi c'è il drammatico precedente di Mario Monti. Che, però, almeno si spese personalmente. Stavolta sarebbe una lista ologramma, perché SuperMario non ha nessuna voglia di scendere in campo, né di dare benedizioni. Infine c'è un problema tecnico a intralciare il passo dei neocentristi. Vanno raccolte le firme (tante) per presentare la lista entro il 14 agosto. La legge offre un esonero solo ai partiti presenti all'inizio della legislatura e a quelli che avevano costituito un gruppo parlamentare al 31 dicembre 2021. Il problema è di Calenda (deve appoggiarsi a +Europa e a Tabacci), ma soprattutto di Di Maio e dei fuoriusciti forzisti. 

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