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Mario Draghi, i 90 minuti che hanno "ucciso" il suo governo: il retroscena sulla crisi

Antonio Rapisarda
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«Partiti e parlamentari, siete pronti»? No. La fiducia più amara (e la più bassa in tutta la legislatura) per Mario Draghi giunge poco dopo le 20. I sì alla risoluzione Casini - di fatto l'approvazione della nuova road map con cui il premier ha tentato ieri di rilanciare le larghe intese - saranno solo 95, i no 38. Il tutto per 133 presenti.

A garantire il numero legale l'astensione dei senatori M5S: i primi ad aprire la crisi, il 14 luglio. Lega e Forza Italia si assentano dall'Aula, FdI vota no. Tradotto: la maggioranza di unità nazionale non c'è più. La conseguenza attesa però - la salita al Colle del premier per confermare le dimissioni - non c'è stata. Forse Draghi andrà stamattina. O forse il premier potrebbe voler fare un ultimo passaggio alla Camera: dove, in assenza di dimissioni formali, è atteso alle 9. E quindi dovrebbe convocare il cdm per aggiornare i ministri sulla sua scelta.

 

Il suo governo, in ogni caso, è arrivato al capolinea. Lo si capisce dagli strali dei due sconfitti di giornata: Letta («Oggiè un giorno drammatico per il Paese») e Di Maio («Gli effetti di questa tragica scelta rimarranno nella storia»). Di tutt' altro avviso chi - come Salvini - ha rilanciato lo schema di un nuovo governo, a partire proprio dalle parole di Draghi il giorno del passo indietro causato dall'Aventino dei 5 Stelle. «Draghi e l'Italia sono stati vittime della follia dei 5 Stelle e dei giochini di potere del Pd», ha spiegato durante l'ultima assemblea di giornata. «Il centrodestra era disponibile a proseguire senza i grillini, con Draghi eun governo nuovo e più forte. Il Pd ha fatto saltare tutto».

IL FILM DELLA GIORNATA
Il film della giornata inizia con il ritorno in Aula di Draghi - chiesto da Sergio Mattarella - dopo le "prime" dimissioni respinte. «Non votare la fiducia di un governo di cui si fa parte è un gesto politico evidente», ha esordito. «Non è possibile ignorarlo, non è possibile contenerlo perché vuol dire che chiunque può ripeterlo». Per mr. Bce esiste una sola strada «se vogliamo ancora rimanere insieme: ricostruire daccapo questo patto». Non lo chiede lui: «Sono gli italiani. La mobilitazione di questi giorni è impossibile da ignorare». Un patto, però, che risulta indigesto al centrodestra: non solo perché è evidente che per Draghi debbano esserci pure i 5 Stelle. A far storcere il naso a Lega e Forza Italia sono i punti "programmatici" su cui ha insistito il premier: il catasto, il dossier concorrenza, il "no" allo scostamento di bilancio. Non una parola sui temi fiscali, sull'immigrazione. Draghi sembra voler giocare l'all-in con un programma dove a subire colpi sono sì i 5 Stelle (a loro volta bastonati su superbonus e salario minimo) ma soprattutto è il centrodestra. E su questo per due volte sfida i partiti: «Siete pronti?».

 

«Sembra il programma del Pd», si borbotta dai banchi del centrodestra. In effetti a brindare è Letta: «Se eravamo già convinti di rinnovare la fiducia al governo Draghi siamo ancora più convinti dopo averlo ascoltato». Da Lega e Forza Italia invece nessun commento ufficiale ma una riunione fiume convocata a Villa Grande da Berlusconi: a raggiungerlo, Matteo Salvini. Nel frattempo, a dare la cifra della contromossa maturata nel vertice, in discussione d'Aula, è il capogruppo leghista Romeo: «Dobbiamo capire se l'obiettivo è quello di salvare il Paese o il campo largo progressista», ha infilzato subito. A questo punto, però, ecco le condizioni del Carroccio (che anticipano la linea della risoluzione del centrodestra di governo): «Prendere atto che il M5S non fa più parte della maggioranza. Prendere atto che è nata una nuova maggioranza, quella del 14 di luglio». Un nuovo governo. A contrapporsi alla proposta del centrodestra giunge l'ordine del giorno di Pierferdinando Casini.

Tutto in una sola riga: «Udite le comunicazioni del premier si approva». È il segnale a quel punto che le strade sono due: un bis di Draghi senza Conte e con un nuovo «patto»; l'attuale governo Draghi con i punti da accettare senza se e senza ma.

TENTATIVI VANI
La tensione si fa alta e i lavori al Senato vengono sospesi per un'ora e mezza. Una parentesi nella quale non mancano i colloqui del Colle con tutti i partiti e dove Letta tenta di convincere i grillini: invano. Al rientro in Senato la replica di Draghi è dura: qualche stoccata all'opposizione sull'accusa di «pieni poteri» e ai 5 Stelle sul superbonus. Poi arriva la mossa: «Chiedo che sia posto il voto di fiducia sulla risoluzione Casini». Il centrodestra non ci sta. Seguono, per motivi diversi, i 5 Stelle. Il verdetto è chiaro e c'è già la data cerchiata per il ritorno anticipato alle urne: il 2 ottobre. 

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