Dl Aiuti, il M5s non vota: "Fuori dall'aula". La rivolta: crisi mai così vicina
Sono iniziate a Montecitorio le dichiarazioni di voto finali sul decreto Aiuti. La scorsa settimana il governo Draghi ha incassato il via libera della Camera dei Deputati alla fiducia sul provvedimento. Oggi si passa al voto finale e i pentastellati, che contestano alcune norme del decreto legge a partire da quella sul termovalorizzatore di Roma, sarebbero orientati a uscire dall'Aula al momento del voto. La conferma arriva da Francesco Silvestri (M5S): "Probabilmente sì, oggi usciremo dall’Aula dopo aver votato fiducia al governo l’altro giorno", dice al Giornale spiegando anche il motivo: "Siamo in attesa di risposte importanti dal presidente Draghi su grandi temi per il Paese", sottolineando che "nel dl Aiuti si poteva fare di più sul superbonus, la questione dell’inceneritore non è gradita per noi nei modi e nel merito, abbiamo criticità quindi non parteciperemo al voto".
La mossa potrà avere gravi ripercussioni sulla tenuta dell'esecutivo. Anche in vista della prossima settimana quando la votazione sul dl Aiuti si sposterà a Palazzo Madama che lo dovrà approvare entro la scadenza del 16 luglio prossimo. Cosa tutt'altro che scontata visto che il regolamento di Montecitorio prevede il voto disgiunto, prima alla fiducia e poi al testo; ma al Senato le cose sono diverse: è previsto un solo voto e se nel Movimento Cinque Stelle dovesse permanere la linea della fermezza le cose potrebbero farsi davvero complicate per il governo Draghi. Cosa che non ha mancato di far notare Antonio Tajani, coordinatore nazionale di Forza Italia: "La decisione di uscire dall’Aula sul dl Aiuti è gravissima e non potrà essere senza conseguenze". Dichiarazione che fa il paio con quella del ministro del Lavoro, Andrea Orlando che a della presentazione del rapporto Inps a Montecitorio ha detto: "Se il M5s non vota la fiducia è un problema".
Da parte sua tace ancora il presidente del M5S Giuseppe Conte, che non ha sciolto la riserva sulla linea da tenere, anche se la strada dell'Aventino parlamentare sembra al momento quella più percorribile. Lo è quanto meno per i senatori Cinque Stelle, pronti al pressing sul loro leader per tenere la linea dura, costi quel che costi. Nel quartier generale di via di Campo Marzio si attende un "segnale" da Draghi, che potrebbe arrivare già domani, quando il presidente del Consiglio vedrà i sindacati per parlare di lavoro -dal taglio del cuneo fiscale al salario minimo - tra i temi più caldi e sentiti nel documento che Conte ha consegnato al premier lunedì scorso. Al Senato, però, la linea "barricadera" sembra prevalere a prescindere. Con una decina di senatori, stando alle indiscrezioni raccolte dall'Adnkronos, pronti a non votare la fiducia, anche se l'indicazione dei vertici dovesse andare in direzione contraria. "Io la fiducia non gliela voto nemmeno se vengono a prendermi a casa...", si legge in uno dei tanti messaggi rimbalzati sui telefonini dei senatori M5S e visionati dall'Adnkronos. Anche gli uomini più vicini a Conte, del resto, spingono per l'Aventino: "Tornare indietro ormai è impossibile", il ragionamento.