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Enrico Letta, il piano per un nuovo governo: Draghi-bis, già tra pochi giorni?

Fausto Carioti
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Si fa presto a dire che, appena i Cinque Stelle lasciano il governo, Mario Draghi esce di scena e si va a votare. In certe dichiarazioni, dirette a dissuadere Giuseppe Conte dal compiere il gran passo, c'è stata molta teatralità. Ma quando i grillini se ne andranno davvero inizierà un'altra partita e bisognerà fare i conti con la realtà: la guerra in Ucraina, l'andamento dei titoli del debito pubblico, il Pnrr e - non certo ultimo - Sergio Mattarella. Nessuno crede che questa situazione possa durare a lungo. A maggior ragione dopo aver contato il numero dei deputati del M5S che ieri non si sono presentati in aula, risparmiandosi così il fastidio di votare la fiducia sul "decreto Aiuti": 28 assenti su 104, dei quali solo una minoranza era in missione, dunque giustificata. «Gli assenti potevano essere molti di più», assicurano dal movimento. La situazione rischia di saltare già prima del 15 luglio, termine entro il quale il "decreto Aiuti" dovrà essere approvato in Senato. A Montecitorio i Cinque stelle usano l'escamotage di dire sì alla fiducia che il governo ha messo sul testo, rifiutandosi però di partecipare alla votazione finale, in programma lunedì: un trucco per "restare nel governo senza votare i provvedimenti del governo" che non potrà essere replicato a palazzo Madama, dove le due votazioni coincidono. Dunque, nel giro di una settimana, o i senatori del M5S sosterranno un decreto al quale sono contrari, osi rifiuteranno in massa di votare la fiducia.
 

 

 

IL NODO DEI COLLEGI Mentre la resa dei conti si avvicina, tutti i partiti si interrogano su cosa fare quando lo strappo si consumerà. Se lo chiede la Lega, dove Matteo Salvini e un gruppo dei suoi sono tentati di andare il prima possibile al voto, anche per paura che i sondaggi (in base ai quali il centrodestra deciderà la spartizione delle candidature nei collegi) scendano ulteriormente. E soprattutto se lo chiede il Pd. Dove c'è una forte corrente trasversale: quella di chi vuole restare al governo anche senza i Cinque Stelle, e se possibile con Draghi.

Il segretario ieri, per la prima volta, ha aperto la porta all'ipotesi: «Se i Cinque stelle dovessero uscire dal governo, ci porremo il problema se fare un Draghi bis». È lo stesso Enrico Letta che pochi giorni fa proclamava l'esatto contrario, ossia che «se il governo cade si va al voto subito». Pure Dario Franceschini, che in pubblico ha lanciato la minaccia più dura nei confronti di Conte («Una rottura o un appoggio esterno porterà alla fine del governo e all'impossibilità di andare insieme alle elezioni»), nelle conversazioni private non mostra alcuna voglia di rinunciare a Draghi. Ciò che pensa la pancia del partito lo spiega un deputato dem: «Non esiste l'ipotesi di votare nel 2022. C'è la guerra, chi ci prova fa una brutta fine».

Un folto gruppo di dirigenti, incluso il ministro Lorenzo Guerini, aspetta di vedere quale strada indicherà Mattarella, il giorno in cui il M5S lascerà il governo e Draghi salirà al Quirinale per discutere sul da farsi. E il capo dello Stato ha già fatto sapere che il voto in autunno metterebbe a rischio il Pnrr e la legge di bilancio. Se Salvini non imiterà Conte (e almeno mezza Lega gli sta chiedendo di non farlo), i numeri per tenere in vita un governo simile a quello attuale, rimpiazzati i tre ministri rimasti nel movimento (Dadone, D'Incà e Patuanelli), ci sarebbero.
 

 

 

 

L'OFFERTA DI LETTA Di certo, non si può votare subito dopo l'estate se si vuole cambiare la legge elettorale. Letta ci sta provando in tutti i modi e tramite il senatore Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali, ha fatto arrivare a Salvini e Giorgia Meloni una proposta più allettante delle precedenti, ovvero il passaggio ad un sistema proporzionale con premio di maggioranza: la coalizione prima arrivata, se supera il 40% dei voti, ottiene il 55% dei parlamentari (le percentuali si potranno discutere, ma la sostanza è questa). Il centrodestra, restando unito, avrebbe comunque la vittoria a portata di mano, ma non stravincerebbe. «Si risolverebbe il nodo della spartizione dei collegi, che è un problema per tutti», spiegano dal Pd. Lega e Forza Italia sono rimaste fredde. «Per noi questa proposta non ha chance», dicono dal Carroccio. Ma appena Conte varcherà il Rubicone, anche i tre leader del centrodestra saranno chiamati a scegliere: puntare al voto immediato o unirsi a chi, nel Pd, vuole far arrivare la legislatura a scadenza naturale. 

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