Enrico Letta ha poco da esultare, il nodo dei 500mila voti: perché il Pd non ha vinto
Alla fiera delle illusioni il Pd chiama banco. Ma il motivo lo sanno solo loro ed Enrico Letta, perché i numeri dovrebbero essere sempre oggettivi. E se il centrodestra non canta vittoria, il Pd non sta tanto bene. Se si sanno analizzare i dati del voto, oltretutto nemmeno così vasti. Per leggere in profondità quello che è successo nel turno di ballottaggio dopo il primo turno dovrebbe essere facile pure ai trinariciuti che affollano il Nazareno. Anzitutto il dato che diventa quello principale da esaminare e che sta nel drammatico calo dell'affluenza al voto. I comuni superiori ai 15mila abitanti erano 142. La scelta orrenda di convocare il secondo turno di ballottaggio in un solo giorno e di 26 giugno ha allontanato gli elettori dai seggi: hanno votato in ottocentomila. Enrico Letta vuole i nomi di chi è andato ai seggi o si accontenta di un numero davvero esiguo? Tanto per capirci, alle elezioni politiche del 2018 - quelle straperse dalla sinistra - gli italiani alle urne furono 32 milioni. La partecipazione popolare fa sempre la differenza.
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LEGGERE BENE I NUMERI
Significa che il turno di elezioni comunali che ci lasciamo alle spalle è già altra cosa rispetto a quel che ci aspetta nel 2023 e che fa malissimo la sinistra a inneggiare a una vittoria che è solo fumosa. Tanto più che non torna neppure il numero dei sindaci collezionati tra primo e secondo turno. Il centrodestra governava 54 città, ora 58. Quindi il segno è più. Il campo largo era a quota 56, ora sta a 53. Sarebbe questa la grande vittoria? Ha vinto Pirro... E nemmeno questo: perché tra primo e secondo turno nei Comuni capoluogo ai candidati del centrodestra è arrivata la bellezza di 1.887.000 voti complessivi, quelli del centrosinistra si sono fermati a 1.352.000. Se aggiungiamo i 370.000 voti civici, la competizione finisce 52 a 37% per la destra. Ma Letta brinda. Certo, Enrico Letta sbandiera Verona come Alessandria e altre città. Ma chissà se riflette su Lucca dove ha vinto un centrodestra che sembrava sconfitto ed è pure stato messo sotto accusa per un'alleanza con CasaPound. Proprio Letta, nell'occasione si è scambiato bacini con Carlo Calenda per concludere lì la campagna elettorale. Risultato: andarono per suonare e tornarono suonati con una secca sconfitta.
IL CASO TOSCANA
Che sta diventando quasi normale in Toscana, del resto: al centrosinistra, che ha vinto a Carrara, rimangono solo Firenze, Prato e Livorno. Massa, Lucca, Pisa, Pistoia, Arezzo, Siena, Grosseto sono targate centrodestra. Il che è il segnale, clamoroso e anche simbolico, di un'inversione di tendenza progressiva in quella che era la regione rossa per antonomasia assieme all'Emilia Romagna. Il problema di Letta alle politiche sarà che si voterà a turno unico e non ci saranno personalismi territoriali nel centrodestra a favorirlo con le solite spaccature. Non troverà la strada spianata il segretario del Pd. Per dirla tutta e con chiarezza: contro, se fossero state le politiche, domenica Tommasi a Verona avrebbe avuto Sboarina o Tosi e non entrambi (o nessuno dei due ma uno più capace di rappresentare la coalizione di centrodestra). E avrebbe perso inesorabilmente. Verona capita una volta nella vita. Idem per le altre città dove si sono registrate incredibili spaccature. Ma sia di lezione. Emblematico per il Nazareno anche quanto accaduto nel Lazio. Sembravano prepararsi a un clamoroso trionfo per le regionali del prossimo anno, ma sono andati a sbattere duramente. Certo, Roma non è una piccola città, ma già si stanno pentendo di Gualtieri che non ne risolve una che sia una. Poi i capitomboli nel resto del territorio, con la periferia che circonda la sedi dell'Impero. A Rieti, il centrodestra stravince al primo turno con Daniele Sinibaldi. Al secondo turno, bis a Frosinone con Riccardo Mastrangeli anche se in proporzioni più contenute. E a Viterbo il centrosinistra non riesce ad approfittare delle divisioni di un centrodestra divisissimo nelle candidature a sindaco e immola alla sconfitta un'assessora di Zingaretti, battuta da una giovane civica, Chiara Frontini. Tre capoluoghi, tre sconfitte.
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CAPITOLO MEZZOGIORNO
Il capitolo mezzogiorno, in vista delle politiche, resta quello più spinoso per il centrosinistra. Nel 2018 nei collegi del sud aveva trionfato il Movimento Cinque stelle, che ora sta evaporando tristemente. È lì che adesso rischia grosso il Pd, senza una credibile alleanza. Ed è un tema che diventerà subito prioritario perché a novembre vota la Sicilia, per il rinnovo della regione. Il vertice del centrodestra dovrà decidere il da farsi, sapendo che il Pd vuole mettere in campo Caterina Chinnici, magistrato e figlia del giudice assassinato dalla mafia. A oggi, il nome che può batterla si chiama ancora Nello Musumeci. Ma sta ai capi della coalizione decidere se dare una sonora lezione a Letta oppure subirla. Tertium non datur, mai come in un momento del genere.