Movimento Cinque Stelle, il segreto di Di Maio: qual è il suo vero obiettivo
Luigi Di Maio è sempre più al centro dello scontro all'interno del Movimento Cinque Stelle. Al momento la sua espulsione è stata congelata. Ma si attende il passaggio parlamentare sulla risoluzione sulla guerra in Ucraina. Il vero punto di svolta per la tenuta della maggioranza, ma soprattutto per la stessa tenuta del Movimento di Gigino e Giuseppi.
Guai a sottovalutare Luigi Di Maio, come del resto sta constatando tardivamente il suo giurato arcinemico Giuseppe Conte. I due ormai non si contendono più la ditta grillina, abbandonata da quello stregone del fondatore Elevato, balcanizzata e spaurita a forza di scoppole elettorali e defezioni parlamentari. Adesso in gioco c'è una posta più alta: la sopravvivenza personale e politica in un quadro di riferimento destinato a scomporsi e ricomporsi in vista del voto nel 2023. E su questo crinale, malgrado l'avvocato di Volturara Appula abbia dimostrato straordinarie doti proteiformi presiedendo da Palazzo Chigi due maggioranze di segno totalmente opposte, stavolta il favorito è l'ex bibitaro del San Paolo. La sua fortuna, più ancora che Mario Draghi, si chiama Farnesina: il luogo da cui non per caso nel gennaio scorso è fuoriuscitala candidatura femminile più credibile per il Quirinale, e cioè quella Elisabetta Belloni che dopo aver diretto la diplomazia italiana ora guida il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) subito bonificato dal premier Draghi onde privare il predecessore dalla tentazione di avvalersi della propria rete di sostegno nei servizi segreti.
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METAMORFOSI Ecco, la vera metamorfosi del trentacinquenne ministro di Pomigliano nasce precisamente nei corridoi felpati del deep state, laddove ancora risiede una struttura d'eccellenza capace di cangiare l'ambizioso rospo del populismo pentastellato nel principe di un disegno neocentrista ancora tutto da misurare. Però realistico sia nella forma - e non è più soltanto una questione di buona sartoria, come già scrivemmo su queste colonne - sia nella sostanza di un allineamento strategico ai poteri atlantici che contano in tempo di pace e diventano inesorabili in temperie di guerra. Quando Di Maio attacca a testa bassa sulla "radicalizzazione all'indietro" imposta da Conte al Movimento Cinquestelle, sta segnalando a chi di dovere che i ponti con il passato sono stati abbattuti e l'operazione scissionista può prendere avvio, dentro i gruppi parlamentari entro fine legislatura e fuori dal Palazzo nella prospettiva di un accordo post elettorale con il blocco centrista/azionista di Carlo Calenda più Matteo Renzi con frattaglie al seguito e, chissà, magari un pezzo "ministeriale" di Forza Italia. In tale cornice, se Conte personifica un testacoda anacronistico che declina in parallelo con la pazzotica codadi cometa salviniana, il capo della Farnesina dimostra invece d'aver acquisito la necessaria maturità politica per condurre l'ala governista grillina nel campo non largo ma ponderoso in cui il versante tecnocratico del Pd (con Enrico Letta passivamente disponibile) sta almanaccando sul do po -Draghi.
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IL VERO OBIETTIVO Può sembrare una lotta di puro po liticismo tattico, e per certi aspetti lo è, ma nell'essenza si tratta di predi sporre un piano per rendere palatabile al riottoso Calenda (che ne teme la concorrenza) ciò che diverse cancellerie internazionali e alcuni mandarini di Bruxelles vedono con favore: la reincarnazione in veste istituzionale di un mondo post -grillino necessario (se pure non ancora sufficiente) a puntellare gli equilibri esistenti. Obiettivo non dichiarato: costruire non tanto il partito di Draghi (che volgarità...) quanto le premesse per isolare le for ze ritenute destabilizzanti - anzitutto i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, quel che resta del sovranismo e appunto "la cosa di Conte" - e propizia re un ritorno del super banchiere a Palazzo Chigi. Siamo ancora alle fasi preliminari, ovvio, ma è già possibile cogliere nel la sfida dimaiana l'occasione per sfruttare un allineamento astrale inatteso: dopo la parentesi dell'emergenza pandemica, peraltro ancora incombente); dopo il repentino ricollocamento della politica estera nazionale lontano dalle sirene sino -russe; con la guerra guerreggiata dell'Occidente contro Mosca per interposta Ucraina e vista l'incognita energetico-alimentare che ne consegue, Di Maio si pone alla testa di un immaginario parti to della responsabilità tratteggiato come una costola del draghismo progressista. Mica poco per uno che nel treno della missione di Draghi, Macron e Scholz verso Kiev, fino a pochi anni fa, avrebbe potuto al massimo dispensare panini e coca.