Giorgia Meloni converte la destra putiniana: ecco come guida gli elettori (invece di inseguirli)
Un sondaggio effettuato da Ipsos per il Corriere della Sera sulla crisi ucraina ha rivelato che l’elettorato di Giorgia Meloni è quello più favorevole alle ragioni di Putin e maggiormente contrario alle sanzioni che l'Italia e l'Unione Europea applicano alla Russia. I sostenitori di Fdi che si dichiarano totalmente dalla parte di Mosca sono il 13% (quasi il doppio di quelli della Lega 7%, mentre quelli del Pd sono fermi al 2% e perfino i grillini non superano il 3%), ma addirittura il 39% ritiene che per lui invasore e invaso pari sono. Insomma, meno di uno su due afferma di stare con la Nato e Zelensky, anche se questo è un dato comune a tutti gli elettori del centrodestra. Stessa musica sulle sanzioni: totalmente contrario il 25%, molto contrario il 22%.
La cosa stupefacente tuttavia non è il dato bensì il fatto che esso non abbia impedito alla leader di schierarsi fin dal primo momento sulla linea atlantista del fronte e di non arretrare di un passo, senza mai mostrare tentennamenti. È vero che il fatto di stare all'opposizione la libera di responsabilità operative, ma va sottolineato come Giorgia, anche ora che le perplessità di molti italiani nei confronti del conflitto sono aumentate, non ha mai ceduto alla tentazione di strizzare l'occhio agli anti-Draghi attaccando l'atlantismo del premier e strumentalizzando la guerra per cavalcare le praterie del dissenso. Sarebbe stato molto facile farlo, e forse avrebbe portato ulteriore acqua al mulino di Fratelli d'Italia. La cosa però non è accaduta, e questo ci dice tre cose della Meloni, le quali concorrono a spiegare come mai in dieci anni la leader abbia portato la propria creature in testa ai sondaggi.
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La prima è che, diversamente da qualche suo collega, Giorgia non si fa influenzare dai social, dalle rilevazioni dell'ultimo minuto, dal vento che soffia o da quello che pensa il proprio elettore di riferimento. In altre parole, non si fa dettare la linea da nessuno; pondera, decide e poi ha il coraggio di tenere la posizione. Rispetto all'elettorato si pone come figura trainante e non assecondante. La seconda è che la Meloni vive un momento magico nel quale la sua base le consente tutto, un po' come quando Salvini riuscì a convincere vecchi elettori e militanti della Lega Nord di Bossi a digerire la svolta nazionalista e sovranista del partito. Giorgia è la donna del miracolo, che ha restituito dignità alla destra dopo il tracollo di Fini e si può permettere anche scelte politiche non gradite da parte della vecchia guardia, che la segue e la seguirà comunque. La terza è che, con Fdi e la sua leader, la destra italiana ha iniziato una nuova era. D'altronde, è bene ricordarlo, Giorgia, pur avendo mosso i primi passi nel Fronte della Gioventù e poi in Alleanza Nazionale, ha sempre fatto parte della cosiddetta "Destra protagonista", quella di Gasparri, per intendersi, e non della destra sociale di Alemanno.
Ecco perché sarebbe vigliacco, errato e superficiale sostenere che la posizione atlantista della leader è dovuta solo al suo tentativo di accreditarsi come figura di garanzia presso Washington e le cancellerie europee, nel caso l'anno prossimo avesse i voti per concorrere alla guida di Palazzo Chigi. L'atlantismo, la difesa del lavoro, la lotta alla voracità del Fisco, l'allergia ai bonus, che le fanno chiedere di finanziare il taglio del cuneo fiscale con i soldi risparmiati in caso di abolizione del reddito di cittadinanza, sono nel dna della Meloni, non sono una scelta opportunistica. In altri termini, Guido Crosetto non è la foglia di fico liberista di Giorgia, bensì il papà di Fdi come lei ne è la mamma. È l'uomo che dialoga con i palazzi, le imprese, il cosiddetto sistema così come Ignazio La Russa, l'altro papà del partito, non è il pennacchio per tenere attaccato l'elettorato d'antan bensì il panzer che fa a spallate nel palazzo per allargare lo spazio vitale di Fratelli d'Italia.