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Giorgia Meloni prima nei sondaggi, La Russa: "Equilibri cambiati, chi non lo digerisce"

Antonio Rapisarda
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Se dico "governo rossonero", lei Ignazio La Russa - senatore, cofondatore di FdI e sfegatato tifoso nerazzurro - che cosa risponde?
«Come per un interista non esiste il Milan così per uno di destra non può esistere un governo rossonero. Non c'è margine di discussione: 0,0%».
L'establishment ha "benedetto" preventivamente l'ibrido Meloni-Letta. Giorgia però ha fiutato subito il trappolone: «Mai». Vogliono la vostra anima... 
«Vista la coerenza di FdI e la nostra pretesa che gli alleati prendano una posizione ufficiale per dire come noi "mai col Pd, mai coi 5 Stelle", è chiaro che provocazioni del genere da parte del mainstream arrivano per indebolire non noi ma la prospettiva di un radicale cambiamento che deriverebbe dalla vittoria di un centrodestra unito a trazione Meloni».
Non basta la crisi in Ucraina per cambiarvi i connotati, insomma. 
«I connotati, semmai, li cambiano gli altri. Perché la destra da quando io avevo due anni, dal '49, è sempre stata schierata con l'Occidente, ha sempre detto sì allo strumento difensivo della Nato. Non ha mai preso altre strade come invece ha fatto la sinistra che era per il Patto di Varsavia e per i carri armati russi che invadevano l'Ungheria o Praga».

 

 

 



Il vostro "Avanti ragazzi di Kiev" - parafrasando il celebre inno della rivolta ungherese - è uno spartiacque anche a destra? Come la mettiamo con chi, fuori da FdI, continua a nutrire simpatie per Putin? 
«Quelle che lei chiama simpatie per Putin da parte dei nostri alleati sono nate nella fase in cui, con un diverso governo Usa, addirittura si parlò dell'ipotesi della Russia nella Nato. Dopodiché la politica estera russa è cambiata, quella degli Usa pure e noi abbiamo guardato con occhi attenti solo agli interessi italiani. Cioè le eventuali, sottolineo molto eventuali, ragioni della Russia sono venute meno nel momento in cui Putin ha deciso di invadere uno Stato sovrano. E non potrebbe essere diversamente. Un partito come FdI che ha sempre sostenuto la legittima difesa di chi viene aggredito in casa propria non può che essere schierato dalla parte di chi si difende da un'aggressione nella casa più grande che ha: la propria patria».
I critici dicono che un governo di centrodestra non sarebbe credibile in politica estera: da una parte Meloni atlantista, dall'altra chi - come Berlusconi e Salvini - faticherebbe a smarcarsi completamente da Mosca. È d'accordo? 
«No. Perché patti chiari e amicizia lunga. E peraltro né Salvini né Berlusconi - sia pure con qualche dichiarazione forse un po' meno chiara - si sono mai schierati contro la Nato. Non hanno mai messo in discussione il Patto Atlantico. A differenza nostra, effettivamente, hanno probabilmente considerato almeno all'inizio come un fatto accidentale l'invasione, mentre noi abbiamo ritenuto subito che una volta che Putin ha manifestato l'interesse espansionistico il corso della storia cambiasse completamente. Confido che gli alleati anche su questo tema possano ritrovare compattezza con noi».
 

 

 

 

Sarà un caso ma dopo la boutade del governo rossonero Salvini ha stoppato la rincorsa al proporzionale assicurando che vale ancora la regola di coalizione: chi arriva primo indica il premier. Inclusa, chiaramente, Giorgia Meloni. 
«È un cambio di strategia che ci fa piacere. Se dice le cose che noi sosteniamo da tempo perché dovremmo dispiacerci? L'importante è che siano sincere e soprattutto durature. Noi non faremo mai un ragionamento finalizzato ad essere i primi nella coalizione: il nostro scopo è far vincere il centrodestra. Poi toccherà agli elettori assegnare i ruoli».
Le tensioni nel centrodestra rischiano di pregiudicare lo sprint per le Amministrative. 
«Andiamo insieme in sessanta città su sessantacinque. Con un po' di sforzo in più saremmo d'accordo su tutte. Non si capisce perché non siamo d'accordo su Sboarina (sindaco uscente di Verona, ndr), dove è stata Forza Italia a rompere con noi e la Lega. Non si capisce perché non siamo insieme a Messina, dove è stata la Lega a separarsi dalla coalizione. Non c'è una sola città in cui FdI è andato con candidati non di centrodestra». 
In Sicilia - per dirla in siciliano - rischia di finire "a schifìo" alle Regionali... 
«Non finisce a "schifio". Finisce con le regole che ci siamo dati: con la candidatura dell'uscente Nello Musumeci. Chi non è convinto di Musumeci è solo qualche dirigente regionale: a livello popolare non c'è nessuno che ha i suoi indici di gradimento. Tant' è vero che alla nostra ripetuta richiesta - qual è l'alternativa? - non ci hanno mai dato un nome. Semplicemente perché non c'è».
Rendere la vita complicata alla naturale ricandidatura di Musumeci significa mettere un ostacolo alla rincorsa di Giorgia?
«Mah: quando eravamo al 4%, non abbiamo mai intralciato il processo di compattezza di partiti che erano nettamente più forti. Oggi c'è un equilibrio diverso. FdI rivendica esclusivamente gli stessi diritti degli altri: non siamo più figli di un Dio minore. Questa è una cosa che ancora non è stata assimilata dagli alleati. Non so se è anche per il fatto che Giorgia è una donna, forse una novità difficile da digerire».
 

 

 

 

 

Dopo la convention di Milano, avete intenzione di fare la campagna del Nord "casa per casa". Sembra un'Opa...
«Ma no! Chi fa politica come noi l'ha sempre fatta "casa per casa": lo stesso vale anche per la Lega o per il Pd. E poi non c'è nessuna campagna solo del Nord. È vero, abbiamo in campo un leader che sa interpretare molto bene anche le esigenze del Nord a fronte di uno spazio maggiore che si è creato ma non trascuriamo la questione del Centro e del Meridione. Le nostre tesi, è un dato di fatto, si sono arricchite di una capacità di ascolto che ci riservano ora i ceti produttivi e che prima non c'era».
La dinastia La Russa ha festeggiato cinquant' anni di militanza in Parlamento: da padre in figlio.
«Una storia di libertà. Pensi che mio padre che veniva da un percorso chiaro non ha impedito a mio fratello maggiore, di essere un democristiano stimato e apprezzato. Sintomo di quell'area di libertà e di democrazia che in famiglia ha prodotto i suoi frutti ma anche le sue soddisfazioni: i miei figli, i miei nipoti e i pronipoti sono tutti nostri elettori. Vincenzo era la "pecora bianca" amata da tutti noi».
Minimo comun denominatore è la Fiamma. Che resta salda in FdI. O no?
«Certo. Testimonia la coerenza. L'evoluzione della destra è chiara e sotto gli occhi di tutti: siamo orgogliosamente la casa dei conservatori italiani ed europei e manteniamo la fiamma come segno di coerenza. Abbiamo tolto il riferimento al partito che l'ha introdotta. Lo dico ai detrattori che polemizzavano immaginando che la base trapezoidale (del Msi, ndr) rappresentasse addirittura la bara di Mussolini. Abbiamo tenuto la Fiamma come segno di continuità e di rispetto per chi ha contributo - come Giorgio Almirante - a far sì che noi avessimo oltre che il futuro anche memoria delle radici da cui ci si è evoluti. Come tutte le radici profonde, quelle che non gelano, producono rami e foglie completamente nuove».
Potrebbero produrre una post-missina a Palazzo Chigi.
«Sarebbe la prima donna in Italia. E sarebbe la "capa" del partito dei conservatori italiani ed europei. Non ci sarebbe nulla di strano».

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