L'abbandono di Giarrusso, ovvero la parabola del Savonarola
È il canto libero, a rivelare, in Dino Giarrusso – barba bucaniera e sguardo levantino sempre attraversato da fulmini - il doloroso affannarsi di un’anima alla ricerca d’un punto d’appoggio. Solo sei mesi fa, a Un giorno da pecora su Radio1, Giarrusso cantava Viva la Rai di Renato Zero, e si diceva fieramente «d’accordo al 1000% con Giuseppe Conte». Oggi, l’eurodeputato da 120mila preferenze - l’Elio Vito dei 5 Stelle - nello stesso programma Rai, annuncia la sua dipartita dal Movimento e dedica al suo (ex) capo Insieme a te non ci sto più della Caselli.
Nel mezzo, ci scorrono mesi di sofferenza, rimestati tutt’insieme, in un’altra diretta, stavolta al Coffee break de La7. Laddove Giarrusso, come un Ale Di Battista qualunque, denuncia la decadenza del M5S alleato con l’imperialista Mario Draghi. Sicché, lacerato, l’onorevole fissa la telecamera; e invoca tutti gli dèi grillini in uno sfogo di rabbia e di vendetta. E afferma che «la base del Movimento è sparita, i valori traditi»; e che «le regole sono quotidianamente calpestate»; e che «non ho mai chiesto poltrone e non avrei avuto motivo di chiederle». Quest’ultima puntualizzazione è riferita a Giuseppe Conte. Che, velenosamente, alla notizia dell’abbandono del suo deputato aveva alzato le braccia e sottolineato che in tutti e sette i loro incontri - anche di domenica - Giarrusso «mi ha sempre parlato e chiesto poltrone, posizioni, vicepresidente, delegati territoriali e via discorrendo. Non ho mai avvertito che ci fosse un dissenso politico…».
Cioè: trattasi di una prosaica faccenda d’amore e di poltrone non corrisposte. Da qui l’invocazione del leader M5S alla «coerenza» per Giarrusso. Il quale Giarrusso, invece di dimettersi dall’incarico di eurodeputato da circa 15mila euro al mese, controdichiara di voler perfino fondare un nuovo movimento politico. Un altro. Tra poco, tra i pentecatti, ci saranno più movimenti che iscritti. E dichiara pure, il Dino, che sta girando, subdolo, l’ordine occulto di non invitarlo più ai talk show, il suo ambiente naturale; e che non si dimetterà perché «molti dei 120mila che mi hanno votato mi hanno già scritto per chiedermi di restare all'Europarlamento». E qui noi già immaginiamo le sterminate folle giarrussiane pronte a invadere le piazze come nel Quarto Stato di Pelizza da Volpedo, e a intonare Bella ciao attestando al mondo che il sacrificio di Giarrusso mai sarà vano. C’è da dire che, in tutto ciò, Giarrusso, da ex Iena televisiva, possiede un indubbio senso dello spettacolo.
La teatralità dei suoi gesti affascina. Il paraculismo nel vestirsi da Iena sui manifesti elettorali (con le Iene che s’incazzano); le varie gaffe come la -giusta- interrogazione fatta al Parlamento Europeo sulla gestione italiana della pandemia (cioè contro Conte); l’accusa di essersi fatto finanziare da una lobbista del tabacco; la guida di un fantomatico seppur volenteroso “Osservatorio sui concorsi universitari”, con busta paga di 78mila euro l’anno; la prima trombatura elettorale e il successivo trionfo a Bruxelles; le proteste ammantate di speranza contro un partito col fiatone; i messaggi incendiari per ottenere un posto al sole in un direttorio mai davvero costituitosi. Eppoi la definitiva rottura dal M5S che nasce – si sussurra - dalla diatriba sulle prossime elezioni siciliane, e proietta la crisi del Movimento sull’intero Paese. Tutto, nella parabola del ribelle, fornisce materiale per un racconto di coerenze, poltrone e sogni infranti; e per un reportage giornalistico. In stile Iene, magari…