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Giorgia Meloni, no alla proposta indecente: "Mai con la sinistra e con i 5 Stelle"

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Pietro Senaldi
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«Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza». Le parole che Dante ha messo in bocca a Ulisse 800 anni fa potrebbero essere la risposta per le rime che Fratelli d'Italia fornisce alle profferte amorose che da sinistra arrivano al partito della Meloni. Il Pd ha in testa l'ennesimo mostro politico, l'ammucchiata invereconda, la destra fa sapere di non volersi insozzare le mani. Con lapresa a pretesto delle posizioni atlantiste di Fdi sulla guerra, gli scrivani democratici hanno vergato nei giorni scorsi il messaggio in bottiglia per la capa della destra e la sua corte: al prossimo giro, voi che sarete il primo partito, venite con noi, faremo un altro governo di larghe intese, in nome dell'emergenza continua: Fdi ci mette i voti, il Pd gli uomini di potere, e così magari Giorgia riesce anche a vendicarsi dei supposti sgarbi di Salvini, relegandolo nell'angolo dei cattivi. Offerta respinta al mittente. Prima Guido Crosetto, il Richelieu di Fdi, precisa sui social che «chi confonde il rispetto che contraddistingue il rapporto tra Meloni e Letta con la possibilità di un'alleanza ha capito poco, perché non si rinuncia ai valori per il potere». Poi è la volta della stessa leader di Fratelli d'Italia. Il tono è polemico e puntuto, nel carattere di chi parla: «In un tempo in cui si pensa che la parola data non conti nulla e in cui i partiti cambiano idea e opinione sui propri avversari in base a poltrone o interessi, c'è Fdi, che resta sempre dalla stessa parte. Niente cambierà quel che pensiamo: mai con la sinistra e mai con M5S». Ogni riferimento alle scelte di Lega e Forza Italia è puramente casuale.

 

 

 

IN VISTA DEL 2023

Antefatti, fatti, analisi e conseguenze. Tra un anno si vota e il Pd non sa che vestito mettersi. Il Paese nel 2023 sarà messo peggio di oggi. Il proseguire della guerra ci porterà in recessione, la mancanza di materie prime e l'inflazione bloccheranno il Pnrr di Draghi e l'immigrazione delle non risorse sarà ripresa a ritmi biblici. Che si vada a votare con il sistema proporzionale o, più probabilmente, con questo, si rischia l'esito del 2018: nessuno vince e per governare occorre ricorrere all'alchimista. Ecco che, prét-à-porter, a Palazzo Chigi ci sarà ancora Draghi e tutta la sua squadra, ansiosa di restare dov' è. Con la conferma di Mattarella al Quirinale, l'attuale maggioranza già a gennaio di fatto ha creato le basi per un governo Draghi anche dopo le Politiche. Ma siccome i numeri in Parlamento cambieranno e Fdi potrebbe essere il primo partito, alla classe dirigente progressista occorre portarlo dalla propria parte, per salvare una parvenza di democrazia. Subito sono partiti i segnali alla Meloni, con sul vassoio la testa di Salvini, novello Giovanni Battista. Questo perché Giorgia ha buoni rapporti sia con Draghi sia con Letta. Ma se su Draghi ancora premier si può ragionare, sul Pd al governo con Fdi no. Per sostenere l'ex governatore a Palazzo Chigi infatti è necessario un cambio di schema: Super Mario potrà essere sorretto solo da una maggioranza di centrodestra, tutt' al più allargata a Calenda e ai vari centri che riusciranno a guadagnarsi un seggio. È da escludersi che Giorgia immoli i dieci anni di traversata nel deserto che l'hanno portata in vetta ai consensi sull'altare di una coabitazione con la sinistra, sputtanandosi per sempre. Non è solo questione di valori, ma di intelligenza politica. Le tragiche esperienze di Fini, sedotto da Napolitano, e Alfano, manipolato da Napolitano e Renzi, insegnano: il Pd, quando vuole scalzare il centrodestra o gli mancano i voti per governare, lusinga qualcuno dal fronte avverso, lo stacca, lo usa e lo getta via.

 

 

 

I PRECEDENTI

E poi, governare con il Pd per i partiti di destra è un calvario che si paga caro. Forza Italia, sostenendo Monti con Bersani, si dimezzò. Salvini, che si sta sacrificando, visti i tempi grami, per non far deragliare l'Italia, viene bombardato tutti i giorni dai dem, che lo accusano di remare contro Draghi, quando invece lo sostiene più di Letta, che ha nell'armadio il gigantesco scheletro di Conte. La forza dei dem è non guardarsi allo specchio, mentre la debolezza del centrodestra di governo è guardarcisi troppo e stare troppo a sentire l'alleato nemico. Il gioco dei progressisti è chiaro: passare di emergenza in emergenza per continuare a stare al potere, trovando il problema sempre all'esterno, dall'Italia a rischio fallimento, all'emergenza immigrati, al Covid, alla guerra in Ucraina, anche se nella stanza dei bottoni ci sono sempre e solo loro. Con la Meloni il gioco dei progressisti non funzionerà perché, contrariamente a quanto pensa il Pd e temono Forza Italia e Lega, Giorgia è in costante ricerca di un accordo che consenta al centrodestra di governare dentro il perimetro della propria maggioranza e non è in balia della fregola di fare il premier a tutti i costi. Di più, Fdi è consapevole di aver bisogno di una Lega forte per pesare al governo. L'unico, reale, problema del centrodestra al momento è il centrodestra medesimo. La mancanza di dialogo e collaborazione. Ma è un problema che conviene a tutti risolvere. In primis a Forza Italia, prima vittima delle divisioni e della mancanza di compattezza dello schieramento. Quindi anche alla Lega, per evitare spinte centrifughe. Un accordo e la deposizione dell'ascia di guerra servirebbe a restituire identità e voti a tutti. 

 

 

 

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