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Lega, "non ci ascolta abbastanza": ecco chi esce dal partito e molla Matteo Salvini

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Antonio Rapisarda
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L'ultimo a lasciare il fianco "destro" del capitano leghista porta un cognome pesante: Francesco Zicchieri. Nipote di Mario, "Cremino": una delle giovanissime vittime missine del terrorismo rosso nella Roma degli anni di piombo. Nel 2018, con un passato trascorso tutto in An, fu uno dei volti di spicco della Lega "nazionale" e sovranista: un segnale preciso che il Carroccio dava al mondo della destra post-fascista. Quattro anni dopo, il traumatico divorzio politico di Zicchieri «dall'ex amico» Matteo Salvini contempla più questioni di mancata valorizzazione (la nomina dell'ex campione di pallavolo Luigi Mastrangelo che lo ha scavalcato come responsabile Sport) e territoriali (il derby nel Lazio con l'ex Ugl Claudio Durigon) che politico-programmatiche. Resta però il sintomo di un disagio che sembra montare fra i "nativi salviniani" - ossia i leghisti di nuovo conio, sorti con la campagna di allargamento della vecchia Lega nei territori geografici e politici del centrosud - e che scavalca le pur importanti dinamiche personali che sottendono i rapporti in politica.

 

 

 

SIRENE DI DESTRA

Da una parte in tanti sentono il richiamo "da destra" dell'avanzata di Fratelli d'Italia, col vento in poppa dell'opposizione al governo Draghi; dall'altra, per altrettanti, sembra difficile assimilare una complessa gestione della Lega «di lotta e di governo» da parte del segretario, chiamato a dover tenere insieme le istanze governiste del Nord con l'agenda sociale cara all'elettorato del Mezzogiorno. Ciliegina sulla torta, registrando i toni delle varie fuoriuscite, la mancata strutturazione del partito sotto la linea del Cupolone. Poche settimane prima di Zicchieri (iscrittosi al gruppo Misto della Camera) era stata la volta di un senatore: William De Vecchis. Anche lui esponente della destra sociale laziale - di formazione identitaria -, dopo un annodi mal di pancia fra larghe intese e appoggio a Draghi il parlamentare di Fiumicino ha detto basta: «Non voglio tradire il progetto originale». Direzione? Italexit di Gianluigi Paragone. Nel frattempo un altro segnale di allarme giungeva dal consiglio regionale del Lazio, con il passaggio di Laura Corrotti (prima donna leghista a essere eletta alla Pisana) a Fratelli d'Italia. «Mal sopportata da chi dirige il partito a livello locale. Me ne vado a testa alta», ha spiegato, ma fra le cause vi è anche la delusione per i risultati della Lega in tutta la regione alle ultime amministrative (passata dal boom del 34% delle Europee al 5,9% delle comunali di Roma). E prima ancora, sempre a proposito di ritorni di "fiamma", da segnalare pure quello del senatore Claudio Barbaro, storico dirigente sportivo della destra che ha deciso di lasciare la Lega in polemica con la riforma del sistema sport ideata da Giancarlo Giorgetti. Anche lui rientrato in orbita Fdi. Problema "laziale" dunque? Se è vero che la regione del Centro Italia è storicamente la roccaforte delle destre di ogni ordine e grado, il fenomeno centrifugo si è manifestato negli scorsi mesi anche altrove. Il caso più rilevante è stato quello di Vincenzo Sofo, "monsieur Le Pen", compagno di vita di Marion Maréchal. L'europarlamentare calabrese trapiantato a Milano ha mollato gli ormeggi in direzione Ecr e poi Fratelli d'Italia appena la Lega ha aderito alle larghe intese. Chiarissime le sue parole: «Non posso condividere il percorso nella grande alleanza a sostegno del governo Draghi, il quale temo che provvederà passo dopo passo a un reset di tutto ciò per il quale ci siamo battuti». Stessa scelta - ma a Montecitorio - per il reggiano Gianluca Vinci, leghista "doc" fulminato sulla via della Scrofa seguendo proprio uno dei mantra di Giorgia Meloni: «Ritengo fondamentale che gli elettori di centrodestra non siano traditi». Tornando a Bruxelles, qualche mese dopo - in polemica sul green pass e l'obbligo vaccinale - lascerà lo scranno del Carroccio (oggi fra i Non iscritti) pure la siciliana acquisita Francesca Donato, ingaggiata negli anni scorsi come paladina della stagione "no euro". Smottamenti dalla Lega ci sono stati non solo a destra ma pure in direzione centro: è il caso di Franco Mollame, che ha aderito a Italia al centro, Carmelo Lo Monte, iscritto al Centro democratico mentre gli europarlamentari Andrea Caroppo e Luisa Regimenti che hanno lasciato per passare a Forza Italia. L'ultimo addio è di Ugo Grassi, ex 5 Stelle poi leghista finito oggi al Misto.

 

 

 

CONTROFFENSIVA

Davanti a questa antologia c'è chi parla di diaspora o di crisi del progetto "nazionale". A controbilanciare questa tesi - fanno notare da via Bellerio - alcune scelte precise di Salvini. Nella squadra di governo, casella centrale è quella del barese ed ex An Rossano Sasso come sottosegretario all'Istruzione. Da segnalare, poi, la performance di Federico Freni al Mef che ha preso il testimone da Claudio Durigon oggi responsabile del dipartimento Lavoro della Lega. Per ciò che riguarda il rilancio del partito in vista delle Politiche non è passato inosservato il ritorno in campo di Armando Siri, senatore e ideologo della flat tax nonché organizzatore del tour di ascolto per la composizione del programma. Appuntamento nel quale la sintesi economica è stata affidata all'economista eurocritico Alberto Bagnai. Nei territori, poi, spiccano alcune figure come il sindaco di Potenza Mario Guarente o l'assessore alla Cultura della Regione siciliana Alberto Samonà. A proposito di amministratori, come spiega il responsabile Enti Locali Stefano Locatelli, negli ultimi sei mesi «solo nel centrosud abbiamo avuto l'ingresso di 70 nuovi amministratori locali». Mentre per l'appuntamento del 12 giugno in più di cento comuni al voto ci saranno le liste di Lega e del progetto-pilota "Prima l'Italia". «Il dato», conclude, «è che il saldo sarà positivo: avremo più amministratori di prima. La prima pietra, da sempre quella più importante per noi: perché il consenso nazionale è importante ma è quello sui territori che ti permette di far mettere radici al progetto». 

 

 

 

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