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Meloni e Draghi, "nessuna soluzione può essere esclusa". Da FdI filtrano indiscrezioni pesantissime

Fausto Carioti
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Quando un giornalista gli chiese quali sfide avrebbero definito il suo governo, il premier conservatore inglese Harold Macmillan rispose: «Events, my dear». Gli eventi, le cose che accadono: cos' altro? Nel momento in cui Mario Draghi si insediò a palazzo Chigi, la sua missione era chiara: la lotta al Covid, la conquista dei soldi del Pnrr e null'altro. Tutto è cambiato il 24 febbraio. L'invasione russa dell'Ucraina è l'evento che ha ridefinito le priorità di Draghi. E questo rende meno provocatoria di quanto avrebbe voluto esserlo la frase di Giuseppe Conte: «C'è una nuova maggioranza che va da Fdi fino a Italia Viva». Di certo sulla sfida più importante il partito di Giorgia Meloni è in perfetta sintonia con il premier e sta a pieno titolo nella "maggioranza di fatto" che appoggia la scelta di armare gli ucraini e fornire altri soldati alla Nato. Si collocano altrove, invece, Conte e il M5S, o almeno la parte del movimento schierata con lui. Ieri se ne è avuta la dimostrazione. Draghi ha chiuso il discorso in Senato ringraziando «la maggioranza e anche la principale forza di opposizione», ossia Fdi, «per il sostegno dato al governo nell'affrontare questa crisi».

 

 

 

Equiparando così il partito della Meloni a quelli i cui esponenti siedono in consiglio dei ministri. Delle repliche al suo intervento, la più convinta in favore della scelta di armare gli ucraini è stata quella del senatore di Fdi Ignazio La Russa, che ha infierito proprio sulle spaccature della maggioranza, dove i partiti hanno «posizioni molto divaricate» e «Conte dice una cosa e Di Maio dice esattamente l'opposto». La linea di Fdi, invece, è «chiara e coerente», nella tradizione della destra italiana, che «dal 1949 si è sempre schierata da questa parte del mondo, a sostegno anche dello strumento difensivo occidentale che è la Nato». Concetti che la Meloni ha rafforzato poco dopo, distinguendo Draghi dalla coalizione che lo sorregge: «Il premier prova a dare una linea sensata di politica estera alla sua maggioranza arlecchina zeppa di contraddizioni e ambiguità».

 

 

 

Tradotto: per fortuna di Draghi ci siamo noi. Il premier lo sa, e anche per questo ha ringraziato. La prima domanda che il prossimo parlamento dovrà porsi è cosa definirà il nuovo governo: se sarà ancora l'opposizione alla Russia, Fdi si è dimostrata al di sopra di ogni sospetto (purtroppo per chi a sinistra sognava il contrario). E non è affatto detto che l'Italia, iperindebitata e alle prese con la realizzazione del Pnrr, tra un anno possa fare a meno di uno come Draghi, chiunque vinca le elezioni (cioè, probabilmente, proprio Fdi). Il resto lo decideranno i numeri e gli eventi, ma se le scelte che oggi uniscono Draghi e la Meloni fossero ancora la cosa più importante, nessuna soluzione può essere esclusa.

 

 

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