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Giulio Gallera, tutta la verità su Giuseppe Conte: "Ecco come ci ha ostacolato nella guerra al Covid"

Gianluca Veneziani
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Ha subito attacchi infamanti e ha dovuto lasciare il suo posto, pagando per colpe che non aveva. Forse nelle fasi convulse del primo anno di pandemia era difficile fare un plauso a chicchessia, ma di certo Giulio Gallera, forzista ed ex assessore al Welfare della Regione Lombardia, non meritava le bordate di fischi e i calci nel sedere subiti per la gestione del Covid. Ora, con dignità e onestà intellettuale, Gallera racconta quell'anno in trincea, insieme di calvario per le critiche ricevute e di orgoglio per le scelte fatte, nel libro Diario di una guerra non convenzionale (Guerini e Associati, con prefazione di Alessandro Sallusti), in uscita dopodomani.

 

 

 

Gallera, il libro è una rivincita contro i politici e i media che l'hanno attaccata?
«È la fotografia dell'esperienza umana e professionale di decine di persone che hanno lavorato in modo encomiabile in questi mesi nel sistema sanitario lombardo. Nasce dall'esigenza di raccontare cosa è successo e perché, con lo sguardo di chi l'ha vissuto veramente.
Abbiamo subito contestazioni da parte di chi era comodamente assiso sul divano...».

Quali sono state le responsabilità del ministro della Salute Speranza nel gestire la prima fase della pandemia?
«La pandemia ci è caduta addosso come uno tsunami e nessuno ci ha avvisato né che arrivava né di cosa si trattava né di come andava affrontato. Chi doveva farlo, il ministero della Salute e gli scienziati dell'Istituto Superiore di Sanità, non lo hanno fatto. All'inizio mancavano mascherine, tamponi e reagenti ma né il governo né il commissario ad acta, Borrelli della Protezione Civile, si sono attivati per fare un ordine o per sollecitare le regioni a reperire quei dispositivi e strumenti sanitari. Da parte di tutti questi soggetti c'è stata una sottovalutazione e una complessiva leggerezza».

È sorpreso che Speranza sia ancora al suo posto?
«Speranza è il leader di un partito e ciò lo avrà aiutato...Non voglio dargli eccessive colpe, ma mi sarei aspettato dalle istituzioni solidarietà e non uno scarico di responsabilità.
Se siamo stati messi sul banco degli imputati noi di Regione Lombardia, allora dovevano finirci anche Speranza, Conte, Borrelli e Arcuri».

Quali sono le principali responsabilità di Conte?
«Il suo governo è stato estremamente riottoso ad adottare misure forti, e l'ha fatto solo sotto pressione della Regione Lombardia. Le sue decisioni sono state spesso annacquate e prese con lentezza. Il primo vero lockdown è scattato in Italia il 22 marzo 2020, troppo tardi. Pensi che fino alla mattina del 7 marzo Conte non voleva chiudere la Lombardia, intendeva mantenere misure blandissime, perché nel mondo produttivo erano tutti contrari, diceva... E anche sulla mancata scelta di fare di Alzano Lombardo e Nembro zone rosse le responsabilità sono tutte sue».

Lei ha da recitare qualche mea culpa?

«No, penso che in Regione abbiamo fatto tutto nel massimo rispetto degli strumenti che c'erano stati dati: abbiamo la coscienza a posto. Anzi, possiamo parlare di un modello Lombardia che ha salvato tante vite grazie a due punti di forza: la grande flessibilità nella riconversione della rete ospedaliera, per cui siamo riusciti ad accogliere migliaia di malati Covid, e il meccanismo per liberare gli ospedali, affidando via via i degenti alla rete di cure intermedie».

 

 

 

C'è stata solo ignoranza o anche dolo negli attacchi a lei e alla Regione?

«È evidente che dietro c'era una regia politica, gestita a livello regionale e nazionale da Pd e 5 Stelle. Sono state dette delle falsità, ad esempio che avevamo messo gl infetti in mezzo agli anziani delle Rsa. Invece abbiamo fatto una delibera che diceva esattamente il contrario. Per queste menzogne io e il governatore Fontana siamo stati chiamati assassini. Il fango mediatico si è scatenato quando en passant, in un'intervista, avevo detto che mi mettevo a disposizione per la candidatura a sindaco di Milano».

Crede di essere stato il capro espiatorio?

«Be', il centrodestra si è fatto condizionare dalla campagna mediatica contro la Lombardia. Soprattutto la Lega ha pensato che fosse meglio che io facessi un passo indietro perché avevo detto che non avrei fatto tornare i medici da due giorni di ferie per soddisfare le classifiche giornaliere di Arcuri sulle vaccinazioni».

Fontana poteva difenderla di più?

«Diciamo che fino a quel momento con lui c'è stata una sintonia assoluta...».

E il suo partito l'ha protetta?

«In Berlusconi ho trovato un interlocutore attento, non posso rimproveragli nulla».

Licia Ronzulli è stata appena nominata coordinatrice di Forza Italia in Lombardia al posto di Massimiliano Salini. Contento della scelta?

«Conosco la Ronzulli da 15 anni. Ci siamo spalleggiati reciprocamente nelle campagne elettorali. È una donna molto in gamba, farà bene».

La Gelmini ha polemizzato sul cambio al vertice, definendo quella di Salini una «rimozione surreale» e sostenendo che «serviva un confronto». Che ne pensa?

«Le regole sono quelle. È sempre stato Berlusconi a nominare i coordinatori. Prima della Ronzulli, anche Salini e la Gelmini sono stati nominati da lui in quel ruolo senza che ci fosse un confronto. E allora perché dovrebbe esserci ora? La trovo una polemica surreale, strumentale e immotivata, in un momento in cui dovremmo stare uniti, visto che il partito sta recuperando consenso». 

 

 

 

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