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Mario Draghi, il suo governo dichiara guerra agli imprenditori: nuovo record di debiti

Sandro Iacometti
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Avete presente gli aiuti che il governo si appresta a varare, forse già domani, per aiutare le imprese a superare l'impatto della guerra su energia e materie prime? Ebbene, molte aziende saranno costrette ad usare quei soldi per tappare i buchi provocati dal mancato pagamento dei beni o servizi forniti alla pubblica amministrazione. In altre parole, lo Stato con una mano dà e con l'altra toglie. Il che sarebbe bizzarro ma poco grave se le somme si equivalessero. Il problema è che dal decreto allo studio del governo arriveranno, se tutto va bene, 6-7 miliardi, mentre i soldi che mancano nei libri contabili dei fornitori della Pa ammontano alla bellezza di 55 miliardi. Forse addirittura 65 se si aggiungono ai debiti di parte corrente anche quelli in conto capitale. La cifra, enorme, è messa nero su bianco dall'Eurostat nel documento "Note on stock of liabilities of trade credits and advances" del 23 aprile ed è stata rivelata ieri dalla Cgia di Mestre che, banalmente, si chiede: ma perché non introdurre una compensazione automatica tra crediti commerciali e debiti fiscali? Trattandosi di soldi pubblici, l'impresa scala il dovuto dalle tasse e i conti tornano. Troppo facile.

Da Mario Monti in poi il tentativo, sbandierato ai quattro venti, di eliminare lo stock di arretrati verso i fornitori è stato affidato ad un complicatissimo sistema di controllo delle fatturazioni che passa, o dovrebbe passare, perla Piattaforma dei crediti commerciali a cui tutte le amministrazioni devono, o dovrebbero, comunicare periodicamente i pagamenti e l'importo del debito residuo. Risultato: nel gennaio del 2020 la Corte di Giustizia Ue ha condannato l'Italia per violazione della direttiva Ue 2011/7 sui tempi di pagamento e nel 2021 Bruxelles ha inviato al governo Draghi una lettera di messa in mora. Nel frattempo, la montagna di debiti, leggermente sforbiciata negli anni del governo Renzi (che aveva promesso di eliminarla del tutto), ha iniziato tranquillamente a risalire, dai 45,2 miliardi del 2017 ai 53,3 del 2020 fino al record di 55,6 dell'anno scorso. Si tratta del 3,1% del Pil, un livello che non viene raggiunto da nessun altro Paese in Europa, dove raramente si supera il 2% e si scende anche molto al di sotto. Dall'1,6 della Germania all'1,4 della Francia fino addirittura allo 0,8% della Spagna.

 

 

ANDRÀ PEGGIO
E la situazione non potrà che peggiorare. Malgrado lievi miglioramenti, infatti, tutte le amministrazioni pubbliche continuano a non pagare nei tempi previsti dalla legge italiana e comunitaria (che vanno da 30 a 60 giorni in base alla tipologia delle forniture). Non si tratta, si badi bene, solo di piccoli comuni in mezzo alle montagne del profondo Nord odi sperdute asl del Mezzogiorno. A non rispettare le scadenze ci sono anche i ministri del governo dei migliori, compresi i supertecnici chiamati di persona da Draghi. Tra i dicasteri con portafoglio, solo 2 su 14 hanno rispettato le scadenze previste dalla norma (Transizione Ecologica e Istruzione/Università/Ricerca). Tutti gli altri, invece, hanno pagato in ritardo. Le situazioni più "critiche" si sono registrate al ministero dell'Interno (+67 giorni rispetto alla scadenza prevista per legge), alle Politiche Agricole (+42 giorni), alla Difesa (+33 giorni) e ai Beni Culturali (+21 giorni). Abitudine che non è cambiata nei primi 3 mesi di quest' anno. I più lenti nel saldare le fatture sono stati il ministero della Difesa (+18 giorni), quello delle Infrastrutture (+27 giorni), del Lavoro (+29 giorni) e dell'Interno (+47 giorni).

 

 

PARADOSSO
Già così la situazione è abbastanza paradossale. Basti pensare alle decine di miliardi che il governo ha speso negli ultimi due anni tra pandemia e bollette per aiutare imprese a cui magari non saldava le fatture, all'impennata dei costi di produzione che sta costringendo molte aziende a gettare la spugna, al pil che ha iniziato ad andare in retromarcia nel primo trimestre. Secondo la Cgia, ad esempio, basterebbe versare almeno la metà di quei miliardi per creare almeno 250mila nuovi posti di lavoro. Ma la beffa è che la riduzione dei tempi di pagamento della Pa, con relativo smaltimento degli arretrati, campeggia anche, come si legge in una circolare della Ragioneria dello Stato del 7 aprile, inviata proprio per tentare di dare una smossa agli enti pubblici, tra le riforme abilitanti del Pnrr. Quelle al cui conseguimento, al pari degli investimenti, è subordinata l'assegnazione delle risorse. Insomma, togliere alle imprese 55 miliardi rischia pure di farcene perdere altri 200. Geniale.

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