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Giulio Tremonti, "sul comodino di Vladimir Putin...": ora si capisce tutto

Gianluca Veneziani
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Prof Tremonti, alla convention di Fdi ieri lei ha parlato di deglobalizzazione. La globalizzazione non era un fenomeno irreversibile?
«È stato un processo che non poteva essere fermato, ma che poteva essere gestito in tempi molto più lunghi e più saggi. Inizia nel 1989 ed entra in crisi nel 2008. I segni dei pericoli, se posso ricordarlo, li ho scritti in tanti miei libri. Anche di guerra avevo già parlato nel 2016 in Mundusfuriosus...».

 

 

 

È stato profetico?
«Oggi la guerra è l'anello intermedio di una catena di crisi che viene da lontano e andrà lontano. Dice che ho una visione pessimistica? Se è per questo, Chamberlain era un ottimista, mentre Churchill era un pessimista. In realtà vedo i drammatici limiti delle classi dirigenti occidentali. Al G7 di giugno 2021, nel documento finale, sono state inserite solo poche e tranquille righe sul rapporto tra Russia e Ucraina. Al G20 di Roma dello scorso settembre i leader occidentali non si sono accorti di essere in 18, perché Russia e Cina mancavano, e non per causa Covid. Insieme all'inadeguatezza delle nostre classi dirigenti, bisogna considerare la complessità dell'identità russa: in Russia ci sono ancora i demoni raccontati da Dostoevskij. OggiPutin è il demone numero uno, che cerca di perpetuare un mondo che non c'è più. L'Urss vantava circa 300 milioni di persone, un hardware chiamato Armata Rossa e un software chiamato comunismo. Oggi la Russia ha soli 120milioni di abitanti, è affetta da un dramma demografico e non c'è più l'ideologia. Eppure Putin coltiva ancora quell'utopia: sul comodino, secondo me, ha 1984 di Orwell con l'immagine dell'Eurasia, ma non dall'Atlantico agli Urali; dagli Urali all'Atlantico».

È sicuro che con la pandemia e la guerra sia tramontata per sempre anche l'idolatria del Mercato?
«Dopo il crollo del Muro di Berlino alcuni illuminati avevano sviluppato l'idea che tutto funzionasse in base al mercato, sviluppando un'architettura in cui l'economia era sopra e la politica sta sotto. Questa visione si è poi consolidata in alcuni passaggi: la nascita del Wto nel 1994, la creazione in America degli strumenti finanziari che regolano la globalizzazione e l'ingresso dell'Asia nel Wto nel 2001. Nel 2008, quando è scoppiata la grande crisi, non si è trattato solo di crisi finanziaria ma di crisi della globalizzazione. Era un esito inevitabile: se sposti le fabbriche in Asia, portando la produzione in Oriente e tenendo solo i consumi in Occidente, trasferisci i capitali fuori e importi povertà. Né è bastato a compensare la perdita dei posti di lavoro l'invenzione dello strumento finanziario dei subprime. A quel punto si sono confrontate due visioni, una italiana, per cui servivano regole per l'economia, da cui la bozza di un trattato, il Global legal standard, dall'altro la tesi del Finacial stability board (Fsb), per cui erano sufficienti criteri per la finanza scritti dai finanzieri. E sa chi era allora il presidente dell'Fsb? Mario Draghi, il quale poi, fallita la linea dell'Fsb, da presidente della Bce ha pensato di stampare moneta dal nulla per fronteggiare la crisi. Così la crisi non è stata superata ma solo rinviata. E ora rischiamo una nuova crisi finanziaria...».

 

 

 

Quante colpe ha la sinistra liberal?
«Beh, quando a Mosca crollano i "templi" sovietici, i Penati del comunismo sono stati spostati a Wall Street e nella City. Di certo la sinistra è stata dalla parte della globalizzazione: ricordo leader italiani di sinistra che discutono di "terza via" e banchettano a Firenze. L'iconografia della sconfitta della politica è oggi nell'immagine dei capi di Stato e di governo in platea ad applaudire il passaggio di consegne tra Draghi e Lagarde alla Bce. Difficile immaginare De Gaulle, Adenauer, De Gasperi e Cossiga che applaudono i banchieri centrali».

Poi il banchiere è diventato premier...

«Tutto torna. Draghi viveva per questo, essere un leader di palazzo e non di popolo».

Cosa resta dopo la fine della globalizzazione? Una nuova guerra fredda o il nuovo trionfo degli Stati nazionali?

«Non ne ho idea. Chi oggi fa previsioni, più o meno tecniche, sottovaluta la drammaticità della situazione. Serve una nuova classe politica. Tanti parlano di eresia sovranista; io penso che non sia affatto un'eresia e sia molto meglio della vera follia, il globalismo. Quello in cui vivremo sarà un mondo meno globale, ma comunque internazionale. E la parola internazionale dice che resteranno le nazioni». 

 

 

 

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