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Giuseppe Conte, Pietro Senaldi: né filo-Usa né filo-Putin, è soltanto un disperato

Giuseppe Conte

Pietro Senaldi
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Abbiamo forse scoperto perché, da premier, Conte abbia sfidato prassi istituzionale consolidata e critiche vigorose incrociate pur di tenere per sé la delega ai Servizi Segreti, realizzando una concentrazione di poteri inusuale per la nostra democrazia. Lo ha spiegato il quotidiano Repubblica, rivelando il contenuto delle carte americane sul cosiddetto "Russiagate", ovverosia le accuse all'ex presidente statunitense Donald Trump di essere stato eletto anche grazie all'aiuto, propagandistico e finanziario, di Putin. Sembrerebbe infatti che il famoso incontro romano dell'agosto 2019 tra il carneade che Conte mise a capo degli 007 nostrani, Gennaro Vecchione, e il segretario alla Giustizia americano, Bill Barr, avesse come oggetto pressioni indebite di Washington verso il nostro governo. In particolare, Trump si sarebbe convinto che la regia del Russiagate che i democratici gli avevano scatenato contro fosse partita in Italia, regnante Renzi, con lo scopo di favorire l'elezione di Hilary Clinton, già segretaria di Stato di Obama.

 

 

LE ACCUSE
Nulla di provato, come del resto non ci sono prove del Russiagate, ma l'accusa a Conte, che proprio in quei giorni veniva sfiduciato da Salvini e vedeva il suo primo governo cadere, è di aver messo a disposizione di Trump i nostri Servizi Segreti, consentendo all'intelligence Usa di ficcare il naso dentro i nostri documenti per screditare Renzi e i democratici Usa. Se così fosse, il premier avrebbe mentito al Copasir sulla missione di Barr a Roma, ma questo sarebbe forse il minore dei mali. In cambio del libero accesso ai nostri dossier, Conte avrebbe ottenuto dall'amministrazione Usa una benedizione ufficiale al suo secondo governo, quel famoso messaggio in cui Trump definì Giuseppi «uomo molto talentuoso, energico, che ama il suo Paese e lavora bene» con tanto di augurio a «rimanere primo ministro». Il sospetto è che The Donald non fosse rimasto folgorato dal leader grillino, ma semplicemente stesse pagando un prezzo politico per avere quel che voleva.

 

 

Se confermato, questo ennesimo scandalo che travolge Conte potrebbe davvero segnarne la fine politica. Sul «Giuseppi» di Trump si fece letteratura giornalistica. Il messaggio mise d'accordo per una volta il Fatto Quotidiano con Repubblica e Corriere, accomunati dall'antisalvinismo. La lettura univoca della stampa, a eccezione di Libero, fu infatti che Trump, in un rigurgito di meritocrazia, avrebbe voltato le spalle al leader della Lega, che era suo supporter ma era putiniano, per incoronare Giuseppe, affidabile, atlantista e capace. A parte l'incongruenza della nostra stampa nazionale, che allo stesso tempo sosteneva che Trump fosse stato eletto grazie a Putin ma prendeva le distanze dalla Lega perché troppo filo-russa, le carte sul caso Barr mettono alla luce molte altre contraddizioni. La prima è l'atteggiamento bivalente di Conte in politica estera, atlantista se Washington gli fa le fusa, contro la Nato e la spedizione di armi in Ucraina allorché l'America non lo considera più. Se Salvini si avvicinò a Putin per ragioni politiche, salvo poi allontanarsene quando le condizioni sono cambiate, il leader grillino è filo Mosca a corrente alternata, solo quando gli conviene.

 

 

DISINVOLTURA
La seconda è la disinvoltura con la quale l'autodefinitosi «avvocato del popolo» utilizzasse il proprio potere essenzialmente per difendere se stesso. Un profeta della Costituzione che sventolava la Carta come uno scudo contro i rivali, salvo poi tradirne il contenuto ogni volta che gli faceva comodo. È andata così con Barr, con la Rackete, con la strategia anti-Covid. Ma attenzione, sarebbe sbagliato ora accusare l'ex premier di essere un cospiratore, un sabotatore, una barba finta al servizio di potenze straniere. È solo un passante non ancora del tutto passato, un fortunello che si è trovato al posto giusto nel momento giusto in una circostanza sbagliata, un inadeguato che, ignaro di tutto se non della propria inadeguatezza, ha provato disperatamente a restare a galla aggrappandosi a ogni ciambella a tiro senza indagare di cosa si trattasse. Giuseppi non è filo-russo né filo-americano; probabilmente non è neppure grillino. È uno che ha vinto un biglietto per la giostra e non vuole più scendere, pronta a far pagare all'Italia qualsiasi prezzo per restare dov' è. 

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