Ucraina, così Mario Draghi spazza via pacifisti ed ecologisti: basta illusioni, tornare alla realtà
L'unico problema è l'oratoria. Mario Draghi fa qualunque discorso come se stesse leggendo il bollettino della Bce, quello con le aspettative d'inflazione nell'area euro. Ed è un peccato, perché nei momenti storici (questo purtroppo lo è) l'ars declamandi aiuta, e la sostanza delle parole dette ieri in parlamento dal premier gronda sano realismo. Dopo decenni di allucinazioni collettive sull'Europa continente di pace e gli stili di vita ecosostenibili, ce n'era un gran bisogno. Avesse avuto una copertina, la sua orazione avrebbe potuto intitolarsi "Come eravamo". Sino a pochi giorni fa ci cullavamo nelle «illusioni» (parola di Draghi) che «l'integrazione economica e politica perseguita con la creazione dell'Unione europea ci mettesse a riparo dalla violenza»; che «le istituzioni multilaterali create dopo la Seconda guerra mondiale», ovvero le mitiche Nazioni Unite, «fossero destinate a proteggerci per sempre». Ecco, è giunto il momento di uscire dal Paese delle Meraviglie: non è così.
A SCUOLA DAI NEOCON
Per spiegarcelo, Draghi cita Robert Kagan e dice che «la giungla della Storia è tornata, e le sue liane vogliono avvolgere il giardino di pace in cui eravamo convinti di abitare». Kagan, esperto di storia e geopolitica, è il padre dei pensatori neoconservatori statunitensi e ha lavorato al dipartimento di Stato dal 1984 al 1988, nel secondo mandato di Ronald Reagan. In Italia lo conoscono in dieci, ed è un bene che Draghi sia tra costoro. Ha scritto un libro, Il ritorno della giungla, dal quale il premier ha preso quella frase. In un altro, Paradiso e potere, accusa gli europei di essersi convinti che «la caduta dell'Unione sovietica aveva eliminato non soltanto un avversario strategico, ma in un certo senso anche la necessità della geopolitica. Nella fine della guerra fredda molti europei hanno visto la possibilità di prendersi una vacanza dalla strategia», riducendo costantemente i bilanci della difesa. I testi su cui si è formato Draghi sono questi. Una simile lente gli consente di vedere l'invasione dell'Ucraina decisa da Vladimir Putin per quello che è: «Tollerare una guerra d'aggressione nei confronti di uno Stato sovrano europeo vorrebbe dire mettere a rischio, in maniera forse irreversibile, la pace e la sicurezza in Europa».
Se la diagnosi è spietata, la terapia non può essere indulgente. La reazione deve essere «rapida, ferma e soprattutto unitaria». Quella militare inizia incrementando «la postura di deterrenza sul confine orientale dell'Alleanza»: uomini, navi e aerei già a disposizione della Nato in Lettonia e Romania, ai quali se ne potrebbero aggiungere altri. E sono in partenza le armi che serviranno al popolo di Volodymyr Zelensky «per resistere all'invasione e difendere l'indipendenza del Paese»: l'Ucraina come frontiera anche nostra. Persino Draghi pare un po' stupito, quando fa notare il passaggio dell'Europa dalle parole vuote alle forniture di armi agli ucraini e alle dure sanzioni contro la Russia: «Gran cambiamento rispetto a quell'atteggiamento un po' velleitario negli ultimi decenni». Vero, anche se non basta certo questo per sfrattare da Bruxelles la retorica del nulla. Sarà comunque inevitabile aumentare la spesa militare. Progetto che il ministro Lorenzo Guerini aveva già avviato, e che adesso per Draghi diventa imperativo: «La minaccia portata oggi dalla Russia è una spinta a investire nella difesa più di quanto abbiamo mai fatto finora». La scelta è se farlo a livello nazionale oppure europeo, in un esercito comune, ed è chiaro che la seconda strada è la preferita dal premier.
LIBERI DAL GAS RUSSO
L'altro bagno di realismo riguarda l'energia. La buona notizia è che, «nel breve termine, anche una completa interruzione dei flussi di gas dalla Russia non dovrebbe comportare seri problemi». Notare: «nel breve termine». Perché Draghi non nasconde che tra un po' saranno dolori: «In assenza di forniture dalla Russia, la situazione per i prossimi inverni, ma anche nel prossimo futuro più immediato, rischia di essere più complicata». E siccome l'Italia avrebbe più da perdere rispetto ai Paesi europei che hanno centrali nucleari e fonti proprie, Draghi chiede di mettere in comune stoccaggi e approvvigionamenti. Anche da questo si capirà se i missili di Putin hanno davvero cambiato la Ue. Aspettando le energie rinnovabili, bisognerà avere più gas da altri Paesi e mettere in conto «il possibile raddoppio» del gasdotto Tap, che porta in Salento il gas azero: sale sulle vene aperte del M5S. Ma nell'immediato è probabile che ci si debba arrangiare con «incrementi temporanei» nell'uso di carbone e petrolio, i fossili più detestati dagli ambientalisti. Incrementi che «non prevedrebbero comunque l'apertura di nuovi impianti» (e l'uso del condizionale fa capire che Draghi non esclude nemmeno questa strada). Da mettere in conto pure qualche forma di razionamento del gas. Di certo aumenterà il prezzo dell'energia e serviranno nuovi interventi a sostegno di imprese e famiglie. Sarà dura, insomma, ma a maggior ragione, qualunque cosa succeda in Ucraina, deve iniziare subito lo sganciamento dai gasdotti russi, che ci danno il 41% del metano che usiamo. Perché «non possiamo essere così dipendenti dalle decisioni di un solo Paese. Ne va anche della nostra libertà». Un mondo infame, quindi, quello che Draghi ci ha mostrato ieri, scavando con le parole sui concetti più sgradevoli: «La nostra storia, tolti gli ultimi ottant' anni, è una storia di massacri, di guerre, di tirannie, di dittatori, di guerre lunghissime». Sognavamo che il nostro percorso fosse tutt' altra cosa, fessi che eravamo. E se pensiamo che sia brutta per noi, immaginiamo come può essere a Kiev e dintorni.