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Mario Draghi furioso, il retroscena: in sospeso il faccia a faccia con Salvini. Tira aria di crisi

Fausto Carioti
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Ci fossero solo lui e i ministri, Mario Draghi avrebbe vita facile. Purtroppo per lui non è così, perché gli uomini del suo governo, inclusi i politici, non rappresentano né i partiti né i loro leader. Gli obiettivi sono diversi, per non dire opposti. Il forzista Renato Brunetta ripete che «il riformismo di Draghi è la sfida di quest' anno, ma anche del 2023 e oltre»: un modo per dire chela formula attuale dovrebbe essere replicata dopo le elezioni. Ipotesi che non viene scartata (anzi) dal leghista Giancarlo Giorgetti e tantomeno dal grillino Luigi Di Maio e dal piddino Lorenzo Guerini. Tutti agli antipodi dei loro capi di partito, già in campagna elettorale e interessati solo a massimizzare i voti e motivare gli elettori: cosa che certo non si può fare sostenendo che dalle urne dovrebbe uscire un frittatone misto simile a quello attuale.

 

 

L'evanescenza di chi dovrebbe fare da raccordo, ossia il ministro per i rapporti con il parlamento Federico D'Incà, grillino, e l'aurea di supponenza che avvolge la squadra di palazzo Chigi, da Francesco Giavazzi in giù, rende ancora più difficile la comunicazione tra i due fronti. Si è visto anche ieri, nell'ennesima giornata nera per Draghi, chiuso in un silenzio gelido, ma ancora più tentato dalla voglia di mollare tutto. Il suo governo aveva rischiato di andare sotto un'altra volta, sul decreto che ha introdotto l'obbligo del Green Pass rafforzato per gli ultracinquantenni. La Lega ha sostenuto un emendamento che puntava a far cessare l'utilizzo del certificato verde il 31 marzo, sul quale l'esecutivo aveva espresso parere contrario. Alla fine la proposta di modifica è stata bocciata, però la Lega l'ha votata insieme agli esponenti di Fdi e a un gruppo di ex grillini, mentre Forza Italia s' è astenuta: il problema politico resta e si aggiunge agli altri. Perché non si fa in tempo a tappare una falla che se ne apre un'altra.

 

 

Sulla strada del decreto Sostegni, in Senato, sono apparsi 2.300 emendamenti, dei quali oltre 1.800 presentati dai partiti di maggioranza. Ed è ancora aperta la questione dell'uso del contante, dopo il blitz del centrodestra che, sempre in contrasto col governo, ha cambiato il decreto Milleproroghe innalzando da 1.000 a 2.000 euro il limite per l'utilizzo delle banconote. Grillini e piddini, in questo e in altri casi, si atteggiano a paladini del premier, ma sono gli stessi che pochi giorni fa hanno approvato un altro emendamento contro il volere dell'esecutivo, per togliere 575 milioni di euro all'Ilva di Taranto e darli ai territori circostanti.

A dimostrazione che il racconto fatto ieri da Enrico Letta, quello del Pd «perno del governo», è una favola: la storia vera è che pure al Nazareno pensano alle elezioni. Come spiegano dal Pd, «non è Draghi il prossimo inquilino di palazzo Chigi che Letta sogna, ma se medesimo». Il resto viene di conseguenza. Molte delle proprie chance di sopravvivenza il governo se le giocherà nella partita per la revisione del catasto, inserita all'interno della riforma fiscale.

 

Draghi, il Pd e i Cinque Stelle ripetono che quest' ultima è cruciale per il rispetto del Pnrr, anche se lì è indicata tra le riforme «di accompagnamento», quelle «non ricomprese nel perimetro del piano». Nella relazione del ministero dell'Economia è scritto che la nuova versione del catasto dovrà servire ad aumentare il gettito ricavato dagli immobili, e questo ha spinto l'intero centrodestra a mobilitarsi: ad attendere quel disegno di legge c'è un emendamento che chiede di stralciare integralmente la parte riguardante il catasto. Dal Pd avvertono che se passa questa modifica salta tutta la riforma fiscale, e con essa i soldi del Pnrr: un modo per costringere il centrodestra ad ingoiare il rospo. Draghi dovrebbe sminare il terreno discutendone con Matteo Salvini. L'incontro tra loro è atteso da giorni, ma il premier non ha ancora fissato una data. Così il dubbio cresce: Draghi vuole davvero trovare un'intesa o preferisce tenere la corda tesa e vedere (sperandoci un po', magari) se il capo della Lega, o uno degli altri, avrà il coraggio di spezzarla?

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