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Riccardo Molinari a Giorgia Meloni: "Ora basta con gli attacchi alla Lega. Cose romane, sul territorio l'alleanza funziona"

Fabio Rubini
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«La tensione tra Fratelli d'Italia e il resto del centrodestra? È tanto innegabile quanto inspiegabile». Non si nasconde Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, nel commentare il momento difficile dell'alleanza che i sondaggi dicono essere maggioranza nel Paese, ma che sembra sempre più a rischio nel leggere giorno dopo giorno le dichiarazioni dei suoi leader.

Molinari anche nelle ultime ore da Giorgia Meloni sono arrivate parole poco concilianti. «Senza di me si perde», ha detto. La Lega che risponde?
«Che il modello del centrodestra funziona da trent' anni e non si capisce per quale motivo la Meloni debba creare queste tensioni, che tra l'altro esistono solo a livello romano».

La rielezione di Mattarella non ha certo aiutato...
«Guardi è da almeno un anno che Fratelli d'Italia pensa più ad attaccare la Lega, cioè un suo alleato, che a fare le pulci alla sinistra. La strumentalizzazione del voto su Mattarella è stato solo l'ultimo episodio».

La Meloni a questa tesi ribatte con un «non siamo noi che ci siamo alleati con la sinistra». Assunto difficile da smontare, non trova?
«Sta giocando a semplificare al massimo una situazione complessa. Non ci si ricorda più che quando la Lega ha deciso di entrare nel governo di unità nazionale, le regioni erano costrette a farsi dettare gli orari in diretta tv dal governo giallorosso. E ci si è scordati che Pd e M5S per mesi avevano spiegato agli italiani che la gente moriva di Covid per colpa dei governi di centrodestra che erano in maggioranza in 14 regioni. Forse Meloni non si ricorda la campagna giallorossa contro la Lombardia. Noi sì. L'alleanza con il centrosinistra? A differenza di FdI che in Parlamento ha numeri assai limitati, noi siamo il secondo gruppo parlamentare e questo comporta avere delle responsabilità nei confronti degli italiani. Dovevamo entrare per far sentire la voce degli imprenditori, dei lavoratori e dei territori che rappresentiamo oltre a limitare l'azione dannosa di Pd e 5 stelle. Certo, la scelta più comoda sarebbe stata quella di stare fuori e magari negare il Covid, come a volte sembra fare qualcuno, ma la richiesta dei nostri elettori era quella di intervenire e provare a migliorare le cose, non sentirsi dire che la sinistra è brutta e cattiva e lasciare tutto com' era».

Avete litigato anche sull'abolizione del Green pass. Meloni dice che volete mantenerlo perché avete votato contro un ordine del giorno di FdI che ne chiedeva la fine e che è stato bocciato in aula. È vero?
«No. La nostra posizione è chiara: al 31 marzo basta con lo stato d'emergenza e con tutti gli strumenti ad esso collegati, Green pass compreso. Voler far credere agli elettori solo per screditare la Lega che sia un ordine del giorno a cancellare il Green pass è una presa in giro colossale: il Green pass si toglie modificando le leggi e oggi in commissione Affari sociali ci saranno in votazione gli emendamenti della Lega per eliminarlo il 31 marzo».

Molinari perdoni l'insistenza, ma c'è il rischio che vi dividiate anche sui referendum che dovrebbero essere un terreno condiviso...
«Questo è francamente inspiegabile. La riforma della giustizia era nel programma elettorale del centrodestra nel 2018. Questo gioco di distinguere sempre la propria posizione dal resto degli alleati, oltre a iniziare a stufare, rischia di scoraggiare soprattutto gli elettori, che alle prossime elezioni non voteranno né per la Lega né per FdI, ma più probabilmente resteranno a casa perché stanchi di vederci litigare. E questo lo sanno bene i dirigenti locali della Meloni, che sono confusi da una strategia che, mi permetta, non mi sembra molto saggia».

Sta dicendo che sarebbe in atto uno scollamento tra la base e il vertice di Fratelli d'Italia?
«Non mi piace commentare quello che succede in casa degli altri. Però io giro molto sul territorio e mi accorgo che l'alleanza di centrodestra scricchiola, è vero, ma solo a livello romano, perché in ambito locale tutte queste tensioni non le percepisco. Mi sto accorgendo invece dello smarrimento della classe dirigente di Fratelli d'Italia, che ha giustamente timore che queste continue tensioni possano essere controproducenti per tutti. Anche perché, diciamocela tutta, alle ultime amministrative non è che la Meloni abbia preso tutto sto botto di voti».

Cambiamo argomento. Che giudizio dà dei risultati raggiunti dal governo?
«Siamo moderatamente soddisfatti. Prendiamo la crisi energetica: siamo stati i primi a denunciarla. Poi certo sappiamo che per risolvere il problema ci sarebbe voluto uno scostamento di bilancio ben superiore agli 8 miliardi, ma va bene anche così. E poi grazie al nostro realismo siamo riusciti a superare quelle sciocche logiche ambientaliste, come testimonia il miliardo stanziato per il settore delle auto e la ripresa delle trivellazioni per estrarre gas italiano».

Negli ultimi giorni il governo ha traballato. Anche Draghi se ne è lamentato...
«Sul Milleproroghe era quasi fisiologico. Ma queste fibrillazioni hanno riguardato tutte le forze politiche. La Lega per esempio ha messo sotto il governo nella battaglia sul portare a mille euro il limite massimo per l'uso del contante. Altri lo hanno fatto andare in minoranza su questioni relative all'Ilva sulle quali noi avevamo votato con l'esecutivo».

Qual è il problema?
«È una questione di metodo. Vede questo governo non nasce da un'alleanza politica ed è innegabile che tutti quelli che ci sono dentro abbiano pagato un prezzo in termini di consenso. Per questo diciamo che il Parlamento non può essere tagliato fuori dalle decisioni. Non esiste che il governo pretenda di arrivare in aula con un pacchetto di provvedimenti blindato. È un mix esplosivo che va disinnescato».

Draghi ha manifestato preoccupazione anche sulla messa a terra del Pnrr. Anche voi in Parlamento percepite questi rischi?
«Ci sono tante criticità. Ad esempio questa crisi energetica rischia di far lievitare i prezzi delle materie prime e quindi di far sballare al rialzo tutti i costi delle varie opere che potrebbero non ricevere le risorse necessarie per essere completate. Poi c'è il tema dei criteri di distribuzione dei fondi, con l'indice di vulnerabilità che rischia di penalizzare il Nord del Paese a vantaggio del Sud. Su questo la Lega ha già fatto un primo intervento, ma è proprio il criterio che è sbagliato e su questo stiamo cercando di rimediare».

Ultima domanda. Circolano voci secondo le quali il Viminale starebbe cercando di boicottare i referendum sulla giustizia, negando l'accorpamento con le elezioni amministrative rendendo così più difficile il raggiungimento del quorum. Siete preoccupati?
«Noi abbiamo chiesto l'accorpamento per risparmiare soldi e per agevolare gli italiani che andranno a votare. Ma se vogliono sdoppiare facciano pure. Noi siamo convinti che su un tema delicato come quello della giustizia gli italiani abbiano voglia di dire la loro».

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