M5s, il retroscena sulla faida Di Maio-Conte: tutto per 90 poltrone, chi vince farà le liste
Il primo è 230: sono i parlamentari rimasti nel movimento (erano 338 all'inizio della legislatura, uno su tre è scappato). L'altro è 65: secondo la simulazione dell'istituto Youtrend, tanti sarebbero i grillini eletti se si votasse oggi, con l'attuale legge e con lo schema di quattro anni fa, quando il M5S si presentò da solo. Un po' meglio andrebbe se si alleassero col centrosinistra: contrattando bene col Pd sulla spartizione dei collegi, potrebbero ottenere tra gli 80 e i 90 seggi. Poco cambia, sarà comunque un bagno di sangue. Risultato del taglio dei parlamentari voluto dagli stessi pentastellati e del loro crollo nella considerazione degli italiani: presero il 32,7% il 4 marzo del 2018 e adesso, nella media dei sondaggi, non superano il 14,5%.
I primi a sacrificarsi, regolamento interno alla mano, dovrebbero essere i 66 senatori e deputati giunti al secondo mandato. Tra i quali ci sono nomi di primissimo piano, come Luigi Di Maio, il presidente della Camera Roberto Fico, la vicepresidente del Senato Paola Taverna, gli ex ministri Alfonso Bonafede e Danilo Toninelli e lo pseudo-reggente Vito Crimi. Tutti rispediti alle precedenti (dis)occupazioni? Ovvio che no: ogni regola ha le sue deroghe, ed è proprio in queste che sperano i 66.
La guerra tra Giuseppe Conte e Di Maio e le rispettive fazioni è la conseguenza di questa strage annunciata. Perché a decidere chi verrà salvato sarà chi avrà il potere di firma sulle liste elettorali. Ovvero il capo del movimento, la figura che adesso non c'è, dopo il disastro combinato da Conte con la riforma dello statuto, bocciata nei giorni scorsi dai magistrati napoletani (Da allora, nel gruppo di Di Maio e Vincenzo Spadafora si divertono a raccontare la storia di Conte che risponde a Davide Casaleggio e all'avvocato Lorenzo Borrè. Costoro avevano avvertito l'ex premier che non poteva riscrivere lo statuto in quel modo e abbandonare la piattaforma Rousseau senza fare approvare tutto dalla base, ovviamente su Rousseau.
Lui, tronfio come solo certi accademici sanno essere: «Ci ho lavorato due mesi, lo statuto è a prova di bomba»). Solo chi azzecca la cordata giusta potrà trovare posto sull'arca di Noè. Alcuni hanno già piazzato le scommesse: Crimi e la Taverna, assieme al ministro Stefano Patuanelli (uno dei pochi big al primo mandato), puntano sulla vittoria di Conte; il viceministro Laura Castelli e Vincenzo Spadafora (anche lui al primo giro di giostra) sul ministro degli Esteri. Conte è forte tra gli iscritti, Di Maio piace ai parlamentari. Molti eletti, però, stanno col dito alzato e aspettano di capire da che parte tira il vento: un errore adesso sarebbe fatale.
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Ammesso che si trovi chi firma le liste, in primavera i Cinque Stelle si presenteranno alle amministrative, e le piazze in cui vogliono dimostrare di essere ancora vivi sono quelle di Genova, la città del fondatore, e Palermo, dove alle Politiche del 2018 furono votati da un elettore su due. Gli auspici non sono buoni: stanno già litigando sull'opportunità di allearsi o meno col Pd, e la prima guerra sarà quella interna, tra "dimaiani" e "contiani", costretti a convivere nelle stesse liste e rubarsi voti a vicenda. Toccherebbe a Beppe Grillo rimediare ai guai creati da chi è venuto dopo di lui.
Il garante del movimento è atteso oggi a Roma e davanti a Conte e Di Maio (i suoi due «figli», li ha chiamati) cercherà di capire come dare regole e leader a un movimento cui i giudici hanno tolto le ultime certezze. Magari restaurando quel direttorio che era stato cancellato dalla leadership unica di Conte. Incombe il rischio che il comico mandi tutti a quel paese e che Conte e Di Maio se ne vadano ognuno per la propria strada, assieme alle rispettive truppe. Ci sarebbero così due partiti rivali, che affiderebbero agli elettori la scelta tra chi torna in parlamento e chi no: a suo modo, una soluzione.