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Enrico Letta spalle al muro, ecco perché è costretto a sperare in Matteo Renzi: il contrappasso

Fausto Carioti
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Il vertice del movimento Cinque Stelle asfaltato dai magistrati non è l'unico contrappasso di questi giorni. Ce n'è un altro che riguarda Enrico Letta, costretto dagli eventi a cercare un'intesa con la sua nemesi: Matteo Renzi, l'uomo che l'aveva defenestrato da palazzo Chigi. È una delle conseguenze del fallimento di Giuseppe Conte. Per Letta, consigliato da Goffredo Bettini, l'avvocato pugliese è stato sinora l'unico alleato forte: quello in grado - almeno sulla carta - di portare al "campo largo" progressista un pacchetto di voti vicino al 15%. Ma ora che Conte è stato prima surclassato da Luigi Di Maio nella gestione della partita per il Colle e poi delegittimato dai magistrati, e che il M5S pare destinato a scindersi o a passare sotto una guida diversa (Di Maio, per dire, non ha alcuna intenzione di legarsi stretto al Pd), la strategia di Letta deve cambiare.

 

 

Le alternative a disposizione del segretario del Pd sono poche e obbligate. A sinistra Leu, il partitino di Roberto Speranza, già è alleato dei democratici: non resta che guardare al lato opposto. Lì, al confine destro del Pd, sono accampati Carlo Calenda, i cui parlamentari si contano sulle dita di una mano, e Renzi, che tra senatori e deputati ne conta invece 44. È vero che il peso elettorale di Italia viva è lieve (2,8% nella media dei sondaggi), ma assieme ad Azione di Calenda (4,7%) e a qualche altra lista, il campo progressista di Letta, al momento assai striminzito, si allargherebbe un po' e darebbe qualche speranza in vista delle elezioni del prossimo anno. Al Nazareno, infatti, non si fanno illusioni: sperano che il centrodestra da qui ad allora si disintegri, ma sanno che il giorno del voto, se la legge elettorale non cambierà, probabilmente se lo troveranno contro di nuovo unito, se non altro perché in questo modo tutti i partiti che lo compongono conquisterebbero più seggi.

Intanto il linguaggio di Letta e dei piddini nei confronti di Renzi e dei renziani (e viceversa) è cambiato, i toni aspri sono scomparsi. Insieme, i due ex premier hanno concordato sulla rielezione di Sergio Mattarella, e al Nazareno nessuno ha "cavalcato" la notizia dei soldi versati dalla casa reale saudita a Renzi, in cambio delle sue consulenze. Ora nel Pd sono interessati a capire cosa accadrà il 26 febbraio, giorno in cui Italia viva, riunita in assemblea, dovrà decidere che fare nei prossimi mesi: spostarsi verso il centrodestra, abbracciando con decisione l'ex forzista Giovanni Toti per dar vita alla formazione "Italia al centro", o limitarsi a fare qualche passettino per restare sostanzialmente dov'è, tenendo aperte tutte le opzioni, incluso un accordo col Partito democratico? A sentire i suoi, Renzi non vuole legarsi le mani.

 

 

Ettore Rosato, presidente di Iv, la mette così: «Noi siamo interessati ad allearci con chiunque sia alternativo a Conte e Landini da un lato e a Meloni e Salvini dall'altro». Proposito che rende possibile sia l'intesa con Toti e Forza Italia, sia quella col Pd. Un senatore renziano prevede tempi lunghi: «A più di un anno dalle elezioni e con il big bang della politica in corso, credo che Renzi, all'assemblea del 26, non prenderà alcuna decisione definitiva. Resterà a guardare ancora un po', perché ciò che sta succedendo può creare scenari imprevedibili». Il solito Renzi, insomma, manovratore abile quanto spregiudicato. Ha già fatto sapere a Letta che il suo obiettivo per le prossime amministrative è fare eleggere il presidente dei senatori di Iv, Davide Faraone, sindaco di Palermo, e che dunque, almeno nella partita che si giocherà questa primavera, lui si alleerà con chi lo aiuterà nell'impresa, si tratti del Pd o del centrodestra. Più i Cinque Stelle vanno giù, più il potere contrattuale di Renzi aumenta, e l'uomo è un bravissimo venditore di se stesso.

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