Sergio Mattarella, il giuramento? Quanta ipocrisia in Parlamento, perché non c'è niente da festeggiare
Un velo di ipocrisia manco troppo sottile ha avvolto la giornata istituzionale di ieri. Il giuramento di Sergio Mattarella non è il finale che avevano immaginato i leader di partito: per molti di loro la sua rielezione è stata un ripiego e per tutti una sconfitta, la certificazione dell'incapacità a controllare i parlamentari interessati solo all'appannaggio e al vitalizio. Non voleva che andasse così Mario Draghi, tenuto a fare da spalla al capo dello Stato durante gran parte della cerimonia d'insediamento, dopo aver trascorso mesi sognando di essere lo spalleggiato. Soprattutto non avrebbe voluto essere lì lui, Mattarella. Che si era preso una nuova casa, aveva iniziato il trasloco e fatto sapere a tutti, in pubblico e in privato, che avrebbero dovuto trovarsi qualcun altro. Per tanti motivi, inclusa la tutela della sua figura: ha ben presente il triste precedente del "Napolitano 2" e sa che da questa avventura ha tutto da perderci. Si è deciso quando ha capito che rischiava di essere eletto comunque, già sabato sera o domenica, "dal basso", senza essere stato indicato dai partiti (sarebbe stato un disastro per le istituzioni e per lui) e perché la richiesta gli è arrivata dall'intero centrosinistra e da due terzi del centrodestra.
L'ULTIMA SPIAGGIA
Lui stesso si è sentito in dovere di spiegare la sua presenza lì come una soluzione estrema, adottata perché le attese degli italiani «sarebbero state fortemente compromesse dal prolungarsi di uno stato di profonda incertezza politica e di tensioni, le cui conseguenze avrebbero potuto mettere a rischio anche risorse decisive e le prospettive di rilancio del Paese». La traduzione non ufficiale è: mi hanno detto che ero l'ultima spiaggia, che altro avrei potuto fare? La preoccupazione è stata il filo conduttore del suo discorso. Se Giorgio Napolitano, nel secondo sermone di insediamento, aveva maltrattato i partiti elencando tutti gli errori «imperdonabili» che avevano commesso, Mattarella ha preferito illustrare a chi gioisce per aver salvato lo scranno ciò che potrà accadere da adesso in poi. I due pericoli più gravi, innanzitutto. Quello sanitario: «La lotta contro il virus non è conclusa, la campagna di vaccinazione ha molto ridotto i rischi, ma non ci sono consentite disattenzioni». E poi l'economia, quella spicciola: «Nuove difficoltà si presentano. Le famiglie e le imprese dovranno fare i conti con gli aumenti del prezzo dell'energia. Preoccupano la scarsità e l'aumento del prezzo di alcuni beni di importanza fondamentale per i settori produttivi». Quindi i guai di livello superiore. L'esigenza di «superare il declino demografico a cui l'Europa sembra condannata» e il rischio di un nuovo conflitto «in un continente che ha conosciuto le tragedie della Prima e della Seconda guerra mondiale», riferimento a ciò che sta accadendo ai confini dell'Ucraina. La necessità di tenere insieme la democrazia con la «tempestività delle decisioni» e l'annessa tirata d'orecchi ai governi (incluso quello di Draghi) che sfornano decreti e trasformano i rappresentanti del popolo in schiacciabottoni: «La forzata compressione dei tempi parlamentari rappresenta un rischio non certo minore di ingiustificate e dannose dilatazioni dei tempi».
LE MULTINAZIONALI
Ci sono anche nuovi pericoli, come quei «poteri economici sovranazionali» che «tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico». Sono le multinazionali del web che non pagano tasse né diritti d'autore, e i social network che usano l'extraterritorialità per ignorare le leggi degli Stati nazionali. E più lunga di ogni altra parte del discorso, sorprendente per i toni, la reprimenda nei confronti della magistratura, da cui gli italiani temono «decisioni arbitrarie o imprevedibili», e verso il governo e il parlamento, che non hanno ancora prodotto le riforme dell'ordinamento giudiziario e del Csm. Il tutto condito con un po' dell'inevitabile retorica che accompagna simili cerimonie laiche. Ma Mattarella ha avuto comunque il buon gusto di dipingere le cose come sono, non come ci piacerebbe che fossero, e di non strizzare l'occhio al clima festaiolo, da scampato pericolo, che si respirava nell'emiciclo di Montecitorio. Perché non c'è davvero nulla da festeggiare, ed è concreto il rischio che dal mix tra partiti moribondi, Covid, rialzo dei prezzi ed enorme debito pubblico escano male tutti: lui, i parlamentari che gli stavano davanti, Draghi, il governo e noialtri elettori e contribuenti.