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Enrico Letta e Pd, il piano per "governare per sempre": riforma elettorale e Forza Italia nel mirino

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 Enrico Letta

Fausto Carioti
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Noto tra i suoi per non azzeccarne mezza (la sua ultima scommessa è stata Giuseppe Conte), allo stratega del Pd Goffredo Bettini va riconosciuto comunque il merito di dire a voce alta ciò di cui si discute ai vertici del suo partito. Intervistato su Repubblica di ieri, ha svelato il segreto di Pulcinella: «Si è aperto un pertugio», il Pd vuole diventare «il cuore propulsivo di una alleanza aperta» e intende «allargare la rete di dialogo in tutte le direzioni, guardando anche al travaglio di Forza Italia». Ragionamento che si chiude con l'immancabile frase sulla riforma della legge elettorale: «Occorre il proporzionale». È un progetto che si va sviluppando da tempo, accelerato dalla crisi parallela del centrodestra, nel quale oggi Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi parlano tre lingue diverse, e del principale alleato del Pd, il M5S, pronto a spaccarsi per i colpi che si stanno scambiando Conte e Luigi Di Maio.

 

 

MODELLO DC
Depurata dagli appelli ai valori democratici e dagli altri orpelli in cui sono specializzati Enrico Letta e compagni, la questione è semplice: si tratta di dare al Pd la garanzia di essere al centro di ogni possibile alleanza di governo nei prossimi decenni. Attirando nella propria rete Forza Italia, lasciando all'opposizione Fdi e la Lega (o almeno una parte di essa) e facendosi contornare da alleati minori, collocati un po' a destra e un po' a sinistra. Proprio come ha fatto per mezzo secolo la Democrazia cristiana, grazie anche al meccanismo di ripartizione dei seggi introdotto nel 1948. Un sistema - guardo caso - proporzionale, che cioè non incentivava le alleanze elettorali, limitandosi a fotografare le divisioni politiche dei votanti per riprodurle in parlamento. Letta, insomma, si sta rimangiando ciò che aveva scritto a maggio nel proprio libro, in cui aveva elogiato il Mattarellum, che è una legge elettorale maggioritaria, fatta per premiare chi prende più voti e capace, proprio per questo, di garantire «un grado sufficiente di governabilità». Varata questa riforma, trovare un presidente del consiglio non sarebbe impresa proibitiva: Mario Draghi è l'uomo al quale tanti già vorrebbero affidare palazzo Chigi all'indomani delle elezioni.

 

 

Per poi magari, un giorno della prossima legislatura, riaprire con lui (e Sergio Mattarella) quel discorso interrotto sul trasloco al Quirinale. Che il disegno sia questo e abbia probabilità di realizzarsi, lo sanno anche nel centrodestra. Dove però i tre partiti maggiori sono in situazioni molto diverse. Sancire la fine definitiva di coalizioni che ormai sembrano esistere solo sulla carta (perché questo significherebbe, il passaggio al proporzionale) penalizzerebbe la Meloni, che secondo i sondaggi oggi guida il primo partito dell'alleanza e ha una sola possibilità di governare: restando nel centrodestra. Converrebbe invece a Forza Italia, dove la difesa del maggioritario (che oggi produce un terzo degli eletti) è sempre meno convinta: con una legge proporzionale il partito di Silvio Berlusconi, al pari dei partitini centristi e del M5S, avrebbe ottime probabilità di entrare in qualunque esecutivo. La novità è la Lega, non più arroccata su posizioni simili a quelle della Meloni. Ieri Igor Iezzi, capogruppo nella commissione Affari costituzionali (il luogo in cui nascono certe riforme), ha aperto a ogni ipotesi: «Il proporzionale? Dipende da che scenari ci saranno. Il maggioritario ha senso se ci sono le coalizioni, altrimenti...».

 

 

CHI PUÒ E CHI NON PUÒ
Atteggiamento che si spiega anche col fatto che il suo partito, a differenza di Fratelli d'Italia, ha diversi modi per andare al governo dopo le elezioni: persino assieme al Pd, in circostanze estreme come quelle attuali.Edoardo Rixi, commissario della Lega in Liguria, lo dice in termini brutali: «Se quelli di Fdi vogliono governare devono per forza farlo con noi, la Lega invece può rivolgersi anche altrove. Noi stiamo già governando senza di loro». S' intravede, insomma, uno scenario simile aquello descritto da Giovanni Orsina e Lorenzo Castellani, accademici della Luiss ed esperti di partiti italiani, in uno studio appena pubblicato sull'Huffington Post: «Il Pd dovrà quasi certamente abbandonare l'idea illusoria del "campo largo" e dello schema maggioritario per avviarsi verso una stagione negoziale con altre forze politiche di destra, centro e sinistra. (...) Il sistema corre veloce verso un esito proporzionalistico» e «avrà probabilmente una torsione centrista: gli italiani potranno dire addio alla possibilità di scegliersi nelle urne una maggioranza di governo». 

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