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Salvini-Meloni, rissa totale: "Estremisti legati a ideologie sconfitte", "Matteo folle"

Fabio Rubini
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La Lega è uscita acciaccata dalla parentesi quirinalizia, ma guai a darla per morta. «Se avessi un euro per tutte le volte che ci hanno fatto il funerale, adesso sarei milionario», sorride sornione un importante dirigente leghista. E infatti ieri, mentre Matteo Salvini rilanciava l'idea di fare un partito Repubblicano sul modello degli Stati Uniti, i suoi luogotenenti Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo sparavano ad altezza donna su Giorgia Meloni e il suoi Fratelli d'Italia definiti «estremisti legati a ideologie sconfitte dalla Storia che antepongono vittorie di Pirro al bene comune solamente per sollevare ulteriori tensioni». Dichiarazioni e strategia ovviamente condivisa con il vertice del partito. 

A scatenare la furia leghista, stando alle voci interne al Carroccio, è stata da un lato la necessità di chiamare alle armi la militanza - e creare un nuovo nemico è una strategia che fin dai temi di Bossi ha sempre funzionato -; dall'altro ad infastidire i leghisti è stata la fuga in avanti della Meloni, che già domenica pomeriggio, a Mattarella non ancora eletto, non ha esitato un solo istante a scagliarsi sulla preda sanguinante che aveva le sembianze della Lega e del suo bacino di voti. La Meloni, come ovvio, non l'ha presa bene e ha replicato piccata: «Quello che ha fatto Salvini è folle- tuona intervistata a Quarta Repubblica su Rete4 -. Quando ho scoperto che la Lega avrebbe appoggiato Mattarella mi sono arrabbiata. Non sarebbe stato meglio Gianni Letta al Quirinale?», dice la leader di FdI senza però spiegare con quali voti. Saranno i prossimi giorni a dire se la guerra tra i due è scoppiata per solleticare la pancia dei rispettivi elettori o se realmente siamo davanti a un'implosione della coalizione che rischia di riverberarsi anche sulle amministrazioni regionali e comunali. La furia dell'attacco contro la Meloni ha quasi fatto passare in secondo piano l'altro affondo del duo Molinari-Romeo contro i centristi, accusati di essere «trasformisti dell'ultima ora». 

Anche qui il bersaglio è chiaro: attirare l'elettorato moderato verso un Carroccio più europeista e allontanarlo dai sovranisti meloniani. Una strategia studiata a tavolino, proseguita con Salvini protagonista di una girandola di incontri. Nel quartier generale della Lega, in via Bellerio, ha visto gli assessori regionali della Lombardia, impegnati in una riunione programmata da tempo. Il colloquio ha avuto come oggetto l'ultimo annodi legislatura regionale nel corso del quale gli assessori dovranno concentrare le loro forze su progetti concreti e d'impatto sociale e mediatico. Il segretario si è intrattenuto pochi minuti. Aveva fretta, anche perché una volta risalito in macchina si è diretto verso Arcore dove ha avuto un incontro di un paio d'ore con Silvio Berlusconi, appena dimesso dall'ospedale. Un gesto che il leader di Forza Italia ha apprezzato. I due si sono anche chiariti dopo lo strappo sul nome della Belloni, ma sulla federazione chiesta da Salvini le posizioni del Cav sono rimaste interlocutorie. Tra oggi e domani il leader leghista ha in agenda gli appuntamenti più impegnativi. 

Alle 15 riunirà il Consiglio federale, che a dispetto delle dichiarazioni pubbliche, chiederà conto al segretario di un risultato deludente sul Quirinale. A Salvini non basterà spiegare di aver giocato pulito, mentre gli altri hanno tradito. Da convincere ci sono soprattutto i governatori e alcuni big del partito capitanati da Giancarlo Giorgetti che, in sostanza, chiedono a Matteo di abbattere il muro che qualcuno gli ha costruito attorno per isolarlo dal resto del mondo. E al contempo di prestare più ascolto alla base del partito, che va rivitalizzato. Saltato ieri, si terrà invece domani, insieme a Giorgetti l'incontro con Mario Draghi. In ballo l'agenda futura del governo. La Lega proverà ad alzare la posta su alcuni ministri poco graditi al Carroccio. Difficile, però, che il premier voglia imbarcarsi in un'operazione rimpasto.

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