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Elisabetta Casellati, femminicidio a Montecitorio: chi la ha fatta fuori e cosa c'è dietro. Faida tra donne, tutti i nomi

Francesco Specchia
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Vi proponiamo l'articolo uscito su Libero in edicola oggi, sabato 29 gennaio, e quindi scritto prima del settimo scrutinio con fumata nera e dell'accordo sul Mattarella bis

«Capovaro, che faccio, vado?», «Vadi, contessa, vadi ma un po' più a destra...». C'è qualcosa d'impietoso nei meme e nei fotomontaggi che in queste ore intasano la Rete, paragonando l'esilarante varo nautico della Contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare del Secondo tragico Fantozzi al fallimento della votazione parlamentare che avrebbe dovuto spingere Maria Elisabetta Alberti Casellati al Colle. Soprattutto colpisce, nell'oggettiva impossibilità del varo, quel «vadi, un po' più a destra». Perché, in fondo, la fucileria dei 71 franchi tiratori (in realtà 59 se si calcolano malati e assenti giustificati) contro la signora, arriva proprio dal suo centrodestra. Una raffica che mai avresti detto. Ad aver fatto fuori Casellati, rovigotta, classe '46, candidato al Colle autentico e formale di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, non sono stati, infatti, gli avversari del centrosinistra o gli alleati di Alternativa C'è. No. Sono stati i colleghi di Forza Italia. Le schede erano segnate, non ci sono scuse. La Lega ha scritto "Casellati", Fdi e Nci "Elisabetta Alberti Casellati", Fi e Udc "Elisabetta Casellati", Coraggio Italia "Alberti Casellati". Sì. Sono stati i colleghi ad impedire che l'Elisabetta, con tutto il suo allure aristocratico, entrasse nella Storia. Soprattutto le colleghe.

 

 

LE BRAVE COLLEGHE
Le quali, evidentemente, di Casellati non avevano apprezzato l'impegno civile e lo stretto rapporto col suo Presidente Berlusconi che l'aveva caldeggiata sino all'ultimo perfino dal letto d'ospedale. Nè, le colleghe, ne avevano riconosciuto l'autorità e l'autorevolezza da sempre emanate dal suo ruolo di altero numero uno del Senato. Forse l'invidia, forse la strategia, forse la meschineria. Ma, tecnicamente, questo è stato un femminicidio politico: Casellati, femmina di raro senso istituzionale, è stata massacrata tra le stesse mura domestiche del suo partito. E, parliamoci chiaro, con quelle spinosissime 382 preferenze su un minimo di 400 (che avrebbero potuto consentirne una seconda votazione) tutta l'operazione s' è trasformata in un'indiscutibile débâcle. Erano le 15,04 di ieri, e alla notizia della sua trombatura, "Queen Elizabeth" - così la chiamano gli amici se ne stava piantata nello scranno, avvolta nel tailleur blu elettrico; con una mano spogliava le schede e con l'altra armeggiava col telefonino sotto lo sguardo del collega Fico.

Ed è lì, nel momento della conta finale, che chi le stava vicino ha notato, nel di lei sguardo glaciale, un velo di tristezza. Anzi, più che un velo, un lampo. Pensava alla promessa fattale da Salvini sui palchi del Papeete («ti farò presidente della Repubblica»), la Presidentessa, non certo a un tradimento simile. Per un attimo pare abbia avuto quasi un mancamento; ma dopo essersi sorretta a un collaboratore s'è subito rassettata, al probabile pensiero di stanare, nei prossimi giorni i carnefici uno ad uno. Casellati è un tantino vendicativa, fa parte del carattere. C'è da dire che il centrodestra ieri s' è contato (male) sulla pelle della propria campionessa. «Non in Fratelli d'Italia e credo nemmeno nella Lega ci sono stati i franchi tiratori», commentava il vicepresidente di Palazzo Madama e maggiorente di FdI Ignazio La Russa, che aggiungeva: «C'è qualcuno che se ne frega dei valori del centrodestra e pensa ad altre cose». Idem per la Lega che assicurava compattezza: «I nostri 208 voti sono andati tutti alla Casellati». E naturalmente era vero. Un peccato, però.

 

 

C'era l'occasione, da parte del centrodestra, di imporre una pregiata giurista conservatrice, stimata Presidentessa, avvocato matrimonialista di grido e docente di diritto canonico, nonché autorevole seconda carica dello Stato. Una che aveva già raccolto, ai tempi della sua ascesa a Palazzo Madama, anche i voti del Movimento Cinque Stelle (certo, in cambio dei voti per Fico, ma allora l'"appartenenza" berlusconiana magicamente era quasi un atout). La verità è che non bisognerebbe mai fare la prova di forza con una carica istituzionale, è una strategia sghemba, facevano notare a Salvini, da ieri king maker azzoppato. Il bello è che non si sa davvero a chi dare la colpa di questo passo falso che ha creato una voragine nell'assetto stesso del centrodestra. Alcuni scaricano il piano suicida su Berlusconi il quale, nonostante il fragile stato di salute e il ricovero al San Raffaele, tra un esame e l'altro, ha trovato il tempo di intimare a tutti l'elezione dell'Elisabetta.

Altri travolgono Salvini che, buttando il nome di Casellati nell'arena senza far la conta delle fauci dei leoni, ne ha agevolato l'improvvida vena sacrificale (non prima di aver bruciato Cassese, Nordio, Moratti, Pera, ecc...). Altri ancora attribuiscono, invece, la catastrofe all'hybris, alla tracotanza quasi letteraria della Casellati stessa. I più tignosi - il quotidiano Repubblica - notano infatti che «un'ora prima di presiedere le votazioni sul Quirinale, nelle quali era candidata, ha comunicato, con una riunione istituzionale, la nascita di un nuovo gruppo parlamentare. Si chiamerà Cal (Costituzione, Ambiente e Lavoro), associata al simbolo dell'Italia dei Valori. Ma è già stato ribattezzato dai parlamentari "Gruppo dei casellanti"». Trattasi di una formazione di una decina di fuoriusciti dal M5S, che ne avevano fatto richiesta un paio di mesi fa. Sarà un gruppo presieduto da Elio Lannutti. E molti hanno interpretato il gesto della seconda carica dello Stato ora come un modo di smarcarsi dalla solida collocazione nel centrodestra, ora come una sorta di captatio benevolentiae nei confronti di papabili elettori. Per non dire dei messaggi che Casellati ha gentilmente consegnato ai colleghi parlamentari della stessa sponda, per invocarne la preferenza e per -e questo le farebbe onore- «mettersi alla prova».

 

 

BOMBE PREVENTIVATE
Comunque sia, il bombardamento sulla Presidentessa era preventivato. Troppo vicina a Berlusconi («è la berlusconiana più berlusconiana di tutte, una berlusconiana senza se e senza ma», la descrisse Guido Quaranta), troppo forzista invincibile, troppo dura nei confronti della magistratura, troppo apodittica su temi divisivi come l'aborto, troppo amica del conterraneo Ghedini. Troppo Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare istituzionalmente mixata a Nilde Jotti. Gli avversari ufficialmente la rispettano, ma in fondo resta marchiata dalla lettera scarlatta del Cavaliere. Fosse passata verso il Quirinale, la Casellati, i giornali avversari - dal Fatto Quotidiano a Domani - erano già pronti a rispolverare vecchie faccende della Presidentessa legate alla «ristrutturazione da 270 mila del suo palazzetto di Padova pagato dalla Prefettura»; o alla nomina della figlia a capo segreteria quand'era sottosegretaria al ministero della Salute; o alle decine di portavoce cambiati per incompatibilità caratteriale. Forse, in fondo è meglio così, dai. Casellati ci ha messo la faccia, ma forse non era ancora tempo di una donna al Colle. Questo, almeno, fino alle ore 17 di ieri. Alle ore 19,53 le agenzie si scatenano. Salvini riappare e afferma: «Sto lavorando a una presidente donna». Conte e Letta sottoscrivono. E, come nel gioco dell'Oca, torniamo alla casella principale. Capovaro, che faccio, vado?

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