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Quirinale, il bis di Sergio Mattarella? "Così Mario Draghi ha schiacciato i partiti in poche ore": retroscena, come ci si arriva

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A prendere in mano la trattativa è stato Mario Draghi. Molti retroscenisti concordano: un po' per diktat di Sergio Mattarella ai leader di partito ("Parlate con il premier, poi lui mi riferirà"), irritato per una accelerazione di cui il Capo dello Stato non era stato avvertito. Un po' perché la partita non poteva non tenere conto della tenuta del governo. La scelta del bis, spiega Dagospia, è servita a "ricompattare la maggioranza, per scongiurare una pericolosa frana del sistema politico. Salvare il governo e portare a termine la legislatura, così che l’Italia possa incassare senza ritardi e senza intralci i circa 50 miliardi di fondi europei in arrivo tra giugno e dicembre".

 

 



Da Palazzo Chigi fanno filtrare una voce: "Si va avanti, squadra che vince non si cambia. Abbiamo tante cose da fare, saranno sei mesi importanti…". Per Draghi è stato un passo di lato, più che indietro. Certo, fino a qualche ore fa il premer nutriva dichiarate ambizioni di salire al Quirinale, da padrone di casa. I veti incrociati dei partiti, emersi in questa settimana, gli hanno sbarrato la strada. Ma di fronte all'impasse dei protagonisti, consapevole che la crisi avrebbe travolto anche il suo ruolo, Draghi avrebbe deciso di muoversi in prima persona: "Parla con tutti i leader, sente al telefono Matteo Salvini. E a margine del giuramento di Filippo Patroni Griffi a giudice della Corte costituzionale, affronta il tema dello stallo sul Quirinale confrontandosi per mezz’ora con Sergio Mattarella". In due giorni, è riuscito ad appianare le ritrosie dei partiti, preoccupatissimi di incassare un clamoroso danno d'immagine dal nulla di fatto quirinalizio e dal precipitoso e per certi versi umiliante ricorso al Mattarella bis. 

 

 



Soprattutto, è stato l'unico a riuscire a interloquire direttamente con Mattarella, una volta raccolta la richiesta prostrata dei partiti di far restare il Capo dello Stato, una volta constatata l'impossibilità di avere una alternativa valida. E ora, probabilmente, comincerà il Draghi-bis. Le possibili dimissioni di Giancarlo Giorgetti, il capo-delegazione della Lega nel governo, potrebbe segnare un cambio di passo: il premier avrà di fronte un anno per chiudere il lavoro cominciato, con l'appoggio totale del Colle e il tifo scatenato di Bruxelles e mercati. La domanda d'obbligo ora è questa: avranno i leader, da Salvini a Conte, da Letta a Berlusconi, il coraggio di ribellarsi dopo aver firmato la loro resa?

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